Ulteriori annotazioni su “Una crisi senza precedenti”.

Ulteriori annotazioni su “Una crisi senza precedenti”.

 

 

Un amico economista mi scrive, relativamente al mio breve commento su “Una crisi senza precedenti”:

Sei sicuro dei dati relativi ai milioni di barili giornalieri di produzione di petrolio?”.

Ovviamente gli ho già dato risposta privata; ma uso la sua domanda per tornare brevemente sull’argomento, considerato che diversi lettori mi hanno fatto pervenire alcuni commenti per sollecitare delle spiegazioni aggiuntive.

 

Ne sono sicuro per i dati ufficiali che vengono forniti sui media!

Ovviamente se i dati sono comunicati errati ciò può incidere sull’esattezza e sulla linearità del  discorso; ma pochissimi, a questo mondo, possono permettersi il lusso di andare a spulciare, letteralmente, l’esattezza dei dati ufficiali forniti.

Per essere più preciso posso aggiungere che l’Eni asserisce che la sua produzione giornaliera di barili è stimata in 1,78 milioni, mentre la Shell (di ben maggiori dimensioni) stima che la sua produzione giornaliera è di 3,13 milioni.

Considerate le varie compagnie che operano nel settore mi pare logico e plausibile che la produzione totale giornaliera possa essere di 87 milioni di barili al giorno, comprese le richieste aggiuntive dovute all’eccedenza di domanda, stimata in circa il 20% (circa 17 milioni di barili).

 

Da sottolineare sono, inoltre, i dati trimestrali relativi agli utili conseguiti negli ultimi tempi e relativi al singolare e forzoso aumento del costo del petrolio.

Nel secondo trimestre (aprile/giugno) la Exxon comunica che ha conseguito un utile record di 11,7 miliardi di $, pari a 2,2 $ per azione, mentre la Shell li stima in 11,5 miliardi di $; la nostra Eni afferma che nel primo semestre (gennaio/giugno) ha conseguito utili di 6,76 miliardi di €, tant’è che si prefigura una distribuzione di acconto sul dividendo, a settembre, di 0,65 € per azione.

Si può aggiungere, inoltre, che la Exxon dichiara un utile superiore del 40% rispetto all’anno prima, la Shell del 33% e l’Eni del 40%.

Tutto ciò nonostante i dati ufficiali stimino una riduzione di domanda complessiva di petrolio, nello stesso periodo, oscillante tra il 2% e il 3%.

Questi nudi dati reali, comunicati dalle stesse società, non possono che confermare le mie brevi osservazioni sul caso e a chi, tale aumento, sia giovato. Perché l’utile conseguito in eccedenza è fuori di ogni logica commerciale ed appare un furto legale ai danni del consumatore.

Lungi da me, comunque, la reale intenzione di voler addossare la corsa in su del petrolio, quindi la speculazione, alle stesse società petrolifere o similari.

Va da sé che una limitazione della trattazione telematica, riservata esclusivamente ai soggetti abilitati (società petrolifere), porterebbe inevitabilmente allo scoperto l’eventuale gioco al rialzo di chi tentasse di speculare sul costo della materia prima.

 

Sugli organi di stampa appare, inoltre, che un po’ ovunque le medie e piccole aziende stanno chiudendo; e ciò avviene giornalmente anche nel Nord Italia e pure in Lombardia.

La Lombardia è il treno della produzione e dell’economia nazionale, ma il sistema si sta fermando, come investito dal movimento a caduta del domino. E se si ferma la Lombardia si ferma la Nazione intera.

È un lusso che non possiamo permetterci!

Ciò, ovviamente, è dovuto alla crisi mondiale in atto con conseguente recessione europea; ma da noi è stata accentuata dalla dissennata politica economica e fiscale del precedente governo, che porterà i suoi frutti malefici specie nel prossimo autunno.

Non solo ha colpito le piccole e medie imprese, ma pure quelle individuali e il ceto popolare, senza effettuare alcun correttivo (taglio) alla spesa. Perciò sono stati soldi letteralmente buttati sull’altare dell’incapacità di governare.

In autunno si capirà se la china può essere risalita col tempo e con fatica, oppure se si andrà verso un’economia latino/americana da terzo mondo.

 

Se le aziende chiudono gli operai restano a casa; se questi (ceto popolare) sono impossibilitati a spendere si ferma pure il commercio e, di conseguenza, anche le industrie che sono ancora operative.

Si innesta, dunque, un devastante circolo vizioso e lo stato si trova con molte meno entrate; di conseguenza il sistema sociale assistenziale va in crisi.

La Bce, con Trichet, ha raddoppiato in meno di due anni il tasso, mentre negli States lo si è più che dimezzato.

L’Italia, ora, ha un Pil allo 0,3% e gli States all’1,9%.

Nell’ultimo trimestre dello scorso anno il Pil americano è sceso dall’1,2% all’1%, mentre quello italiano veniva stabilito all’1,5%. Ora quello americano è risalito dello 0,9%, quasi raddoppiandosi, mentre quello italiano è sceso a picco alla cifra suddetta dello 0,3% e forse, secondo alcuni esperti, segnerà prima dell’anno un segno negativo: cosa assai probabile.

Negli States la Federal Reserve (FED) ha fatto del monetarismo, immettendo continua liquidità sul mercato a tassi vantaggiosi per far ripartire l’economia e non mettere in crisi (o far fallire) moltissime aziende oltre al privato cittadino che aveva contratto mutui; questa mossa ha dato i frutti sperati, rifacendo salire il Pil americano.

La cosa contraria ha fatto la Bce con Trichet, facendo del liberismo, convinta che il mercato in stile keynesiano potesse produrre un freno alle spese, senza considerare che il raddoppio pratico degli interessi dovuti sui finanziamenti avuti (: liquidità, fidi, muti, leasing …) avrebbe ulteriormente colpito sia il privato cittadino esposto finanziariamente, sia le aziende stesse. Tale politica monetaria ha innalzato pure gli interessi sul debito pubblico.

La Spagna, ad esempio, in questo ultimo trimestre ha visto scendere il valore del mattone di ben il 16%, esposta com’è nell’indebitamento per lo sviluppo edilizio. Difatti il rischio sub prime europeo proviene proprio dalla Spagna e si teme un grave tracollo finanziario.

Giulio Tremonti vuole limitare la spese pubblica all’essenziale e lo staff governativo cerca di ridurre la spesa statale migliorando l’efficientismo dell’apparato pubblico sul livello di quello privato.

Comuni, province e regioni reclamano il federalismo e la libertà di spesa, anche se spesso tali spese sono superflue o rimandabili a tempi migliori. E vi sono pure tanti enti doppioni di altri.

Basti guardare quanto spreco avviene al nord, e pure altrove, per lussuosi acciottolati e pavimentazioni varie nei centri abitati, salvo poi, dopo alcuni anni, ripristinare il meno nobile ma più pratico ed economico asfalto.

 

Poi vi sono i banchieri e le banche che spremono i clienti con balzelli e tassi, spesso con percentuali doppie rispetto al tasso ufficiale.

Ma, se il sistema salta, le banche perderanno i capitali dati in affido e i loro pingui utili conseguiti nel 2007 saranno la loro vittoria di Pirro.

In Europa alcune banche hanno evidenziato perdite consistenti per speculazioni errate, anche se poi tali operazioni sono state attribuite a singoli dirigenti. La conseguenza pratica è stata che tali perdite vengono poi addossate ai clienti stessi, con spese aggiuntive sulla tenuta conti o sui tassi stessi.

In Italia abbiamo diverse tradizioni e pure abbiamo avuto esempi di operazioni spregiudicate finanziarie finite male: Sindona, Calvi, Fiorani … sono solo alcuni eclatanti esempi.

Alcuni sono stati (erano) definiti i “banchieri di Dio” e lo stesso IOR (Banca vaticana) non è stato esente da simili intrallazzi, sia direttamente sia con banche cattoliche.

E le banche cattoliche non sono da meno delle altre, nell’esosità, verso i loro clienti, in barba ai proclami statutari e al credo religioso professato dai loro dirigenti.

Perciò bando alle prediche, da ovunque vengano e da chiunque siano fatte, a meno che si voglia essere etichettati da “zuccabanchi”.

Certi dirigenti bancari, pure cattolici, quanto percepiscono e quanto guadagnano? Il doppio, il triplo o centinaia di volte più di un operaio? Questo è l’amletico dilemma che attanaglia la coscienza del credente/cliente, specie del bisognoso.

Giorni fa un industriale mi diceva:

Ho sempre cercato di reggere per gli operai, ma ora mi sono accorto che il lume non vale la candela, perché la candela finanziaria l’ho esaurita e quella di riserva mi è stata sottratta  da altri (banche). Se mi lamento mi mettono alle strette e mi fanno saltare, perciò devo stare zitto; ma non per molto perché così non posso più reggere.

 

Questa è la triste realtà di una nazione in crisi, innanzitutto di sistema.

L’attuale governo, pur con molte perplessità, sta cercando di rimettere in moto l’apparato produttivo e il mio augurio è che non sbagli.

Diversamente il destino è segnato per tutti, anche se i pochi benestanti potranno permettersi il lusso di reggere l’impatto della crisi recessiva dall’alto delle loro sostanze (magari all’estero).

Abbiamo una crisi di uomini dirigenti e una grande carenza di veri professionisti dediti al bene del popolo e della nazione.

Ovviamente alcuni ce ne sono, con la speranza che bastino.

Gli altri lasciamoli cicalare nei salotti, sui giornali e sugli altri media, cercando di dar loro meno credito possibile al di là del loro credo religioso e ideologico.

Pure questi, se mi è consentito, sono nostro prossimo.

L’importante è che capiscano di non essere indispensabili ed in base ai risultati conseguiti traggano le relative conseguenze: cambino mestiere e si dimettano dai loro prestigiosi e ultra pagati incarichi.

 

Ultimo capitolo finanziario: la distribuzione degli utili agli azionisti.

Molte società hanno un imponente debito finanziario in essere, ma ciò nonostante distribuiscono gli utili conseguiti.

Sarebbe bene che venissero codificate certe regole in modo che gli utili vengano usati a ripianare e ridurre gli impegni in essere.

Si dovrebbe consentirne la distribuzione solo in assenza di debiti verso terzi in essere.

Gli utili così trattenuti andrebbero ad impinguare la riserva ordinaria, dando un reale valore alle azioni stesse.

Oggi le aziende hanno diversi mezzi finanziari per procedere negli investimenti, quali; aumento di capitale, accensione di fido, finanziamento soci a carattere obbligazionario, mutuo, leasing e accensione di obbligazioni pubbliche.

E se alcuni fanno parte del capitale netto (aumento di capitale, riserva ordinaria, finanziamento soci obbligazionario), altri sono ascrivibili ai debiti (fidi, mutui, leasing, obbligazioni pubbliche) in presenza dei quali la distribuzione degli utili non dovrebbe essere concessa.

Forse, allora, l’azionista comune stesso uscirebbe dal “parco buoi” per scaricare dalla dirigenza verticistica aziendale gli inetti lautamente retribuiti.

Ed allora avremmo una società sana basata sul dare e sull’avere, conscia d’essere d’utilità alla nazione e non all’interesse dei pochi che la maneggiano.

 

 

Buon lavoro, Governo Berlusconi; tanti auguri a Voi!

 

 

 

 

 

 

Sam Cardell

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