Un nuovo ’29 si avvicina?

Un nuovo ’29 si avvicina?

 

 

Gli sconquassi borsistici di questi giorni, in seguito al fallimento di una banca americana e del possibile tracollo di altre importanti aziende, indicano il limite della globalizzazione, specie di quella selvaggia dedita alla speculazione pura.

Per una volta tanto sono d’accordo con Trichet sull’inopportunità di abbassare i tassi in questo momento di spaventosa turbolenza economica e finanziaria, anche se è bene rilevare che il mercato li attende da tempo.

A parte le borse attualmente l’Europa è in posizione di parziale sicurezza; ma, a mio parere, tra non molto pure da noi vi potranno essere delle ripercussioni su aziende che hanno già la spia rossa accesa.

Il treno industriale tedesco è fermo da mesi, seguito a ruota da tutte le altre nazioni industriali europee; e pure la Russia comincia a denotare crepe vistose nel suo sistema economico, per lo più basato, nel commercio, sulla vendita di materie energetiche (petrolio e gas).

Inghilterra e Spagna hanno grossi problemi, tra l’altro, nel settore immobiliare, facendo presagire altri pericoli imminenti.

Ovviamente i tassi dovranno essere abbassati a breve, appena le borse si stabilizzeranno e la congiuntura economica permetterà di agire, senza trasformare l’abbassamento del TUS in un segno di ulteriore debolezza.

La crisi non è solo nei paesi occidentali, ma essendo quelli orientali[1] per lo più finanziati da istituti nostri, è ovvio che la turbolenza investa pure loro.

 

La globalizzazione è un fatto estremamente positivo nella cultura, non altrettanto nell’economia e nella migrazione ciclica di persone in cerca, senza alcuna sicurezza pratica, di un futuro migliore nei paesi occidentali. Tanto più se questi disperati non hanno qualifiche professionali, ma solo il desiderio di affrancarsi economicamente in un territorio che già di per sé fatica ad andare avanti.

Ho seguito (talora da vicino) l’iter d’acquisizione e di fusione di alcune aziende e ne ho tratto la convinzione che il loro “modo” economico di globalizzarsi era sicuramente basato sui crediti erogati da banche compiacenti e suadenti, sulla scia teorica che tutto era concesso e facile per uno sviluppo necessario.

Chi fece gli affari fu sicuramente chi vendette, incassò e se ne stette tranquillo in attesa che l’“entusiasmo” delle acquisizioni cessasse.

Gli altri (gli acquirenti) ora se ne stanno a sfogliare la margherita (che faccio, non faccio) spesso oberati dai debiti e dai tassi raddoppiati, quando addirittura non sono già saltati.

Perché è ovvio che, quando l’impegno economico è eccessivo, l’utile (se c’è) conseguito non sia sufficiente non solo a rientrare dal capitale investito (ridurre l’esposizione finanziaria effettuata), ma pure, in presenza di una forte crisi economica, a pagare gli interessi dovuti.

In pratica si costruì un “Colosso di Rodi” poggiato su piedi d’argilla, destinato a crollare od ad essere opportunamente puntellato per non creare, nella poderosa caduta, altri impressionanti danni.

Difatti il Tesoro Americano e la Fed stanno cercando di limitare i danni dove è possibile, per non innescare una caduta a domino come nel ’29, dove non erano previsti né ipotizzabili questi ammortizzatori finanziari statali.

J. D. Rockefeller, in quel periodo, se ne stette tranquillo ad aspettare che la buriana passasse, per poi comprare a prezzi stracciati tutto ciò che ritenne utile. Difatti giunse a controllare oltre l’1,53% del prodotto interno lordo americano: una percentuale che sarebbe, ancor oggi, stratosferica, specie se collegata allo sviluppo economico in quel periodo nel resto del pianeta!

 

Imprenditori, politici, banchieri, finanziarie e governi sono accumunati (quasi) tutti dall’avere sbagliato strategia e previsioni.

In alcune nazioni si diffuse il mito della casa per tutti ad ogni costo ed oggi ne vediamo le conseguenze: troppe famiglie si sono indebitate oltre ogni percentuale ragionevole di rischio, collassando il proprio budget domestico e paralizzando, con i ratei insoluti, l’intero sistema che s’era troppo esposto nella concessione dei mutui.

Ma la crisi, forse, parte un attimo più da lontano e precisamente dagli atenei (anche dei più prestigiosi) dove si sono sfornati tecnici, banchieri, economisti e finanzieri vincolati a teorie economiche superate già da diversi decenni o ad una globalizzazione economica che poteva essere prevista con maggior raziocinio.

Difatti queste teorie hanno mostrato il loro lato debole e deprimente nella congiuntura attuale: il bubbone è esploso giunto a maturazione!

Oggi la situazione è quella che è e neppure le varie esternazioni di cauto ottimismo, proclamate da alcuni esponenti politici e finanziari di rilievo, può dissipare le nubi minacciose che stanno coprendo il cielo.

Un amico, che ebbe la ventura di vivere in Germania nel periodo critico susseguente al ’29 americano (qua giunto in seguito), mi disse che al ristorante bisognava essere veloci a mangiare, perché il prezzo della consumazione veniva variato in continuazione al rialzo.

Ovviamente l’inflazione può essere spesso collegata alla recessione, perciò ad una grave crisi economica, in quanto il costo delle materie prime interessate è spinto all’insù dal crollo del commercio e dai buchi che si vengono a creare nell’approvvigionamento per la crisi (o fallimento) di tante aziende operanti nel settore.

 

In Italia, in quel tempo (’29), abbiamo avuto il crollo di diversi istituti bancari, i maggiori[2] dei quali furono salvati (statalizzati) dal Governo per evitare ulteriori rovine.

Ed è ciò che ora sta facendo il Tesoro Americano e la Fed per limitare i danni.

La Bce l’altro ieri ha immesso sul mercato qualcosa (!!!) come 60 miliardi[3] di € per garantire liquidità al sistema, onde non affossare completamente le borse.

Ciononostante in tre giorni i listini hanno perso oltre il 10% e alcuni titoli pure il doppio. Ciò vuol dire che rispetto a circa 2 anni fa le borse hanno bruciato metà del capitale azionario reale.

Credo che questa discesa, pur con fasi alterne, sia ancora destinata a prolungarsi; e potrebbe lasciare sul campo ancora un 20%, andando bene le cose, perché diversamente non vi possono essere previsioni attendibili.

Se poi il panico si diffonde, e la gente cercasse di prelevare i propri depositi bancari, è ovvio che il crack di moltissimi istituti di credito sia scongiurabile solo con un decreto governativo di blocco a tempo indeterminato dei prelievi[4], se non per cifre atte solo a garantire la sopravvivenza alimentare e operativa minimale di ogni famiglia.

 

Un amico lettore ieri mi ha inviato un’e-mail relativa ad alcune azioni da lui possedute per avere lumi in proposito.

Conoscendo la sua situazione economica, il capitale investito e la perdita che avrebbe vendendo ora, così gli ho testualmente risposto:

Perso per perso e considerato che non ti servono per mangiare, opterei per tenerle per due semplici motivi:

a)       Le quotazioni potrebbero scendere ancora del 20%, ma il vendere ora per una tale cifra di apparente “guadagno” implica l’esigenza di dover poi ricomprare al prezzo inferiore per ripianare le perdite finora subite. Non mi pare che il lume valga la candela.

b)       Se il sistema crolla come nel ‘29, cosa che non credo, allora anche i liquidi sono carta straccia perché vi sarebbe l’impennata dei prodotti di consumo stessi.

Perciò io me ne starei tranquillo aspettando che il sistema migliori, come un cassettista.”.

 

Quello che serve oggi al sistema internazionale sarebbe proprio che il panico fosse emarginato e che la speculazione, tanto al rialzo come al ribasso, fosse eliminata.

Ovviamente mi rendo conto che il blocco delle attività borsistiche, per alcuni mesi, avrebbe un valore terapeutico solo se fosse applicato in tutte le borse del globo; ma non è da escludere che a ciò prima o poi si debba arrivare.

Sperando, ovviamente, che il sistema regga, perché diversamente sarebbe il tracollo totale.

La globalizzazione, specie quella finanziaria, ha palesato in poco tempo i suoi immensi limiti e demeriti, specie se attenta al solo capitale: il guadagno ad ogni costo pur con rischi alti[5], come se questo utile fosse sempre garantito.

Bisogna, comunque, che i soggetti abilitati ad operare nel mercato finanziario (banche in primis) si diano una buona regolata e norme morali e comportamentali precise, oltre a rivedere la capacità reale dei propri manager, operanti nel settore, con direttive tassative.

Perché il finanziare la speculazione e il farla porta scompensi, specie se la si consiglia a propri clienti.

Credo, personalmente, che in molte nazioni d’Europa molte aziende operino sulla carta “straccia”, perciò su impegni a rendere che vengono coperti da futuri bond, utili solo a prolungare l’indebitamento.

Si vive e si opera oltre ogni parametro economico logico, sperperando così delle enormi risorse utili.

Parmalat ed altre aziende, giunte al collasso economico già tempo fa, hanno reso chiaro a tutti la connivenza operativa che vede nelle banche dei soggetti istiganti ad un tale rischioso comportamento, ulteriormente sottolineata dalla distribuzione, a clienti ignari, dei bond argentini, che si sa che fine han poi fatto.

Questi erano solo delle insignificanti burrasche estive, ma il bello deve ancora venire.

Le banche centrali nazionali, con la Bce in testa, dovrebbero preoccuparsi di questa degenerazione finanziaria (emissiva e distributiva) che sta venendo alla luce (bond subprime e similari), più che inquietarsi per l’inflazione.

A meno che si ritenga che l’inflazione nasca non da una crisi finanziaria/economica, dovuta al ripianamento di crediti inesigibili o in sofferenza, ma da un meccanismo sconosciuto che innalza, casualmente, il prezzo del prodotto finito.

Perché con tali “esperti”, profumatamente pagati, il futuro è irto di difficoltà e già segnato in partenza.

 

 

 

Sam Cardell


[1] – Esempio pratico ne è stata l’ultima imponente speculazione sul petrolio attuata dai Fondi Orientali, finanziati appunto da istituti occidentali, quando non addirittura direttamente gestiti.

[2] – Basti ricordare la Commerciale Italiana (Comit), il Credito Italiano (Credit) e il Banco di Roma.

[3] – 30 in obbligazioni e 30 in liquidità diretta.

[4] – Ciò che successe, appunto, poco fa in Argentina

[5] – Mesi fa la mia banca mi invitò a rispondere ad un questionario interno sugli investimenti. Il sistema elettronico alla fine mi invitò a modificare alcune risposte per il semplice motivo che accettavo un rischio medio/basso in presenza di conoscenze economiche/finanziarie assai elevate. Feci presente all’addetto che non intendevo modificare le mie risposte, appunto perché le mie conoscenze mi indicavano esattamente dove il rischio valeva la candela.

Aggiunsi che chi aveva ideato il questionario doveva essere un esaltato fuori di testa. Infatti, la prima regola economica dice che un rischio elevato porta solo teoricamente utili superiori, ma che prima o poi il rischio stesso azzera qualsiasi utile avuto portandoti in perdita. Voglio solo ricordare, per completezza, che si trattava di una banca che si fregia dell’aggettivo di “cattolica”!

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