Non abbandonarci alla tentazione.

 

Tempo fa venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri. Lo aveva composto lo scorso anno e facendomi visita prenatalizia era intenzionato a darmelo; ma per puro accidente gli rimase nella borsa. Sicché, avendomelo riportato, lo pubblico ora. Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu.

Colgo l’occasione, in particolar modo per questa festività bersagliata dal Covid-19, per porgere a tutti i lettori i miei più sinceri auguri di

Buon Natale e felice Capodanno!

Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

Non abbandonarci alla tentazione.

La notte era già calata da tempo, favorita in ciò dal solstizio invernale. S’era alla vigilia di Natale. Di uno di quei natali che si rincorrono periodicamente quasi alla fine d’ogni anno solare. Un tempo per la gioia interiore di grandi e piccini; ora, quasi per la sola felicità di molti stomaci e degli affari di innumerevoli aziende, anche se la crisi mordeva il portafoglio di tutti.

Leone aveva avuto una di quelle sue mitiche giornate che ormai lo prostravano nel fisico, ma lo ringalluzzivano nella mente, rendendolo partecipe d’essere una persona anomala: molto atipica, e sfuggente a ogni comune considerazione. Da tempo, infatti, stava eseguendo lavori in casa propria; che benché per lui fosse una piccola badia, per gli altri era un grande appartamento di oltre 200 mq calpestabili. Da oltre un anno procedeva nei lavori, intramezzati da lunghe pause per via degli acciacchi fisici che da oltre un lustro lo avevano colpito. Colpito, ma non prostrato o ridotto a miti consigli.

Di ciò spesso la Leonessa ‘rompeva’, in ogni senso: sia per la casa ch’era un cantiere, sia per l’impegno fisico cui Leone si sottoponeva, nonostante il suo stato. Anche se Leone rammentava in sé pure il mugugnare di lei, quando gli aveva ribaltato un paio d’anni prima la casa etrusca; tanto che quella temette seriamente d’essere … rimasta senza dimora. Salvo poi riprendersi quando se la vide rinascere … totalmente nuova. Ripresasi sì, ma comunque scioccata dal pericolo … corso. Perché, in sostanza, la Leonessa ignorava, come Tommaso, le capacità reali di Leone: non ci credeva finché non ci sbatteva il naso. E pure anche dopo. Era tuttavia lontana, anche se ormai prossima all’arrivo.

Leone aveva due massime, di cui la seconda era sequenziale alla prima: a) la casa dev’essere al mio servizio e non io schiavo a questa; b) in qualsiasi stato questa sia, se uno vuole vi entra, se non gli sta bene se ne stia pure fuori. Per la Leonessa, invece, era più importante il decoro. Quel decoro fine agli altri e non a sé stessi, perciò all’apparire diversi da quel che si è.

Fuori il borgo era un brusio di gente che andava e veniva per il presepio vivente, bighellonante come solo i beoti in attesa della novità fantasmagorica sanno fare.

In giornata, molte persone indaffarate avevano impiastricciato alla carlona le antiche vie, rendendole quasi un … cesso di paccottiglia. Un kitsch miserevole che però inorgogliva il druido burino, convinto, come il pollo del Mugello, che il solo correre e fare fosse di per sé già una … perfezione degna del paradiso.  Costui, tuttavia, da quando Leone gli aveva rifilato una propedeutica e metaforica tirata d’orecchie, s’era ammansito assai, migliorando e affinando il suo modo di essere, tanto comportamentale che verbale.

Leone, uscendo per commissioni in mattinata, non aveva potuto che rilevare che tra gli addobbatori molti ‘bestemmiatori’ di professione erano all’opera; non si sa se per invocare il bambinello o se colpiti, come Paolo di Tarso, sulla via di Damasco. Gente che, per inciso, vedeva l’interno della pieve al massimo un paio di volte l’anno; oppure in quel paio, o poco più, di rade occasioni in tutta la vita nelle quali gli occhi sono ancora per lo più chiusi: battesimo (barlume di conoscenza), matrimonio (occhi velati dai sensi) e funerale (occhi chiusi nella pace eterna).

In giornata Leone s’era dedicato all’atrio. Per tutti gli altri sarebbe già stato finito, ma non per lui. Lo stava, infatti, perfezionando con bordini e battiscopa pregiati in rovere massello, con quella sua meticolosa e pignolesca cura dei particolari che differenziano sempre il lavoro comune da un’opera d’arte. La sua massima in proposito era: un professionista non deve mai eseguire un lavoro allo stesso modo due volte, ma dall’esperienza del fare deve sempre trarre lo spunto per migliorare. Perciò era stanco e tutto un dolo.

Assiso sulla sua poltrona, dopo cena, stava rivedendo sul monitor alcune foto della cascina, che da tempo lo vedeva assente. Non che questa gli mancasse, ma lassù gli pareva di respirare un’aria diversa. La natura, infatti, non è mai effimera come molti mortali. Fu così che, nel tepore di casa, Morfeo sopraggiungesse e che lo screensaver abbuiasse il monitor.

Sonnecchiando, Leone era come se fosse in vetta allo Sparavento. Il suo guardo planava a sud sul freddo mare nebbioso della piana, per poi virare ad est sugli scintillanti e tersi laghi, per puntare infine a nord sulle candide e raggianti creste solive innevate dell’Alpe. Come quasi sempre, Leone faceva due cose simultaneamente. Infatti, pure quando dormiva, era solito svolgere alcune delle sue lectio magistralis filosofiche o scientifiche che in passato lo avevano reso famoso in importanti tavole rotonde, in conferenze di livello o in rinomati atenei del globo. Perciò, dormendo, gli parve di sentire come bussare. Non alla porta di casa, ma dall’interno del monitor sullo schermo. Questo, pur senza l’uso del mouse, s’illuminò e un bambinello splendente e raggiante di gioia cominciò a dialogare con lui, che tuttavia continuò a dormire. Dormiva; ma comunque Leone lo vedeva dentro di sé.

D: Scusa Leo, ti disturbo?

L: Nient’affatto! Basta che non mi svegli. Come sai, Buon Dio Bambinello, ho bisogno di recuperare. Solo in casi estremi faccio ricorso alla chimica; nella normalità preferisco il metodo naturale.

D: Sai, non vedendoti nella pieve alla Mia Natività, ho pensato bene di lasciare ai loro oremus i Miei fedeli e di venire a visitarti, per stare un po’ con te. Tanto loro, che Io ci sia o non ci sia, manco se ne accorgono. A loro basta un’effige o una statua. Tutto il resto è superfluo.

L: Quanto onore Buon Dio! Dimmi: non vorrai forse imitare Maometto?

D: Capisco che intendi, secondo il detto: se la montagna non va a Maometto, allora Maometto andrà alla montagna.

L: Già; proprio così. Il miracolo ha sempre le due facce della medaglia.

D: Vero. Però devi anche tener presente che Io sono in ogni luogo. Io sono l’Immenso.

L: Beh, se la metti così allora Ti dirò: io, invece sono il tuo contrario. Infatti sto qua e non anche nella Tua pieve. Però, dimmi: quante volte mi hai visto nella pieve alla Tua Natività?

D: Leo, oggi è la Mia festa. Perciò non accetto provocazioni.

L: Capisco. Allora riformulo la domanda: sei appena nato e parli meglio di quando predicavi. Sei un portento di precocità, considerato che hai appena emesso il primo vagito. Hai già sorbito pure il colostro dalla vergine? Sai, quello è pesante e molti infanti poi lo vomitano.

D: Tranquillo, Leo. Vedo che sei sempre uno scanzonato mattacchione. Non ti insozzerò la tavola, stanne certo. Tuttavia sono venuto per un’altra questione, essendo molto che non ti vedo lassù a dialogare con me.

L: Non sarai venuto a sincerarti se fossi schiattato? Infatti, discolo come sono, mica sono destinato al Tuo Regno.

D: Questo non si sa. Solo il Padre lo sa. Al Figlio non è dato saperlo.

L: Vero, secondo i Tuoi teologi. Però non essere così modesto, che poi la Tua Onniscienza va a ramengo. Vai, comunque al sodo e non divagare troppo.

D: Ricordi la nostra ultima discussione sulla Redenzione? (La redenzione.) Ebbene, mi ha sconvolto! Ovviamente in senso positivo. Pure il Padre, poi, è rimasto … perplesso. Ho avuto l’impressione che pensasse che gli sia sfuggito, allora, l’essenzialità della cosa. L’ho visto molto pensoso e a tratti accigliato, come se ce l’avesse con sé stesso. Un po’ come quando tu fai un errore e ti maledici dandoti del rimbambito e del rincoglionito mille volte.

L: Meno male che hai specificato. Da quanto dicevi m’era venuto il dubbio che si fosse assai incavolato con me. Non mi dire così, però! Che poi va a finire che devo riformulare i Vostri trattati teologici. Non ho alcuna voglia di cimentarmi in un’opera così titanica e … inutile.

D: Non credo, Leo. Tu, se del caso, non faresti teologia, bensì vera teosofia.

L: Capisco che sia la Tua festa, capisco che sia pure Natale, capisco pure che Tu oggi possa essere ‘più buono’ del solito; tuttavia non vorrei poi darTi il lecchino d’oro per tale esternazione di stima.

D: Burlone! Che ti scrisse quel Mio eminente alto prelato e monsignore dopo aver letto l’articolo: lei mi ha sconvolto in senso positivo. Lei mi ha proiettato in un mondo teologico nuovo che non avevo mai neppure ipotizzato.

E l’altro, sempre di pari rango, che ti disse dopo aver letto il tuo ‘E non ci indurre in tentazione’? (E non ci indurre in tentazione.) Ricordo bene che così ti si espresse: mi sa che qualcuno lo ha stampato e portato al Papa da leggere.

L: Troppa grazia, Sant’Antonio. A pensarci bene non ho mai preso in considerazione il fatto d’essere tanto importante e influente. Credo che dovrò rivedere il mio status, già alto, sul mio valore. Diventerò un … vanesio: vanitas vanitatum et omnia vanitas! ( Ecc 1,2; 12,8-12; Ro 8,20-22)

D: Già. Non per nulla varcasti per ben due volte i legni di Damaso. Però, al di là delle nostre supposizioni, avrai visto che ora han deciso di cambiare la parte incriminata. Ti piace la nuova dizione?

L: Ti dirò: a me non pare che abbiano fatto i Tuoi sommi druidi molto progresso, promuovendo come nuova dizione e non abbandonarci alla tentazione. E quando lo dicono in latino, cosa diranno?

D: Spiegati, Leo. Personalmente mi sembrava una buona cosa. Per il latino è ancora tutto top secret. O, meglio: a questo non hanno mai pensato.

L: E ti pareva? Scusa, ma Tu lo Pneuma non lo hai dato loro in zucca? Sai, Divino Bambinello, cosa mi verrebbe voglia di dirTi dopo questa Tua prolifica esternazione?

D: Dimmi, Leo, senza trattenerti.

L: Ok: va là, pivello. Si vede che sei appena nato per dire così.

D: Dai, Leo, non essere così drastico. Elucubra invece sulla nuova dizione.

L: Vediamo se pur ancora “piccolo” riesci a seguirmi. Seguirò il metodo socratico.

D: Bene, vai che provo a seguirti.

L: Ipotizziamo d’essere in montagna. Io e Te andiamo ognuno per i fatti nostri. Essendo io più esperto, Tu, che non sei con me, decidi di seguire le mie orme per non trovarTi nei guai.

D: L’esempio è calzante e mi piace. Per una volta accetterò d’esserti dietro.

L: Ok. Mentre si ascende su ghiaccio io affronto un percorso tecnicamente impegnativo. Tu, a distanza, cerchi di imitarmi, ignorando le Tue capacità, con il bel risultato di trovarTi nei pasticci e incrodato.

D: E allora? Che c’entra questo esempio con la nuova dizione del Pater noster?

L: Aspetta, Piccoletto. Non ti agitare troppo che poi è peggio e magari … precipiti.

Tu sai che decenni fa fui insignito con la Croce di S. Giorgio del C.I.S.M. Ebbene, a questo punto, io che sto andando per i fatti miei, mi accorgo che, molto più in giù, Tu sei incrodato e in grande difficoltà. Le scelte che ho, allora, sono due: a) faccio finta di niente e proseguo per la mia strada; b) torno indietro, Ti assicuro e Ti calo fino al pianoro. Tirarti su con me, infatti, calcolando le Tue carenze tecniche, significherebbe mettere in pericolo Tu e me simultaneamente. Tu che dici che dovrei fare?

D: Beh, Leo, mi pare lapalissiano. Tu porti la Croce di S. Giorgio; perciò hai l’obbligo morale di soccorrermi e salvarmi. Diversamente, se precipito e muoio, tu sei responsabile della Mia morte, sia per la Legge divina che umana Ma lo sarebbe pure se tu la Croce di S. Giorgio non ce l’avessi. Mi hai fatto un esempio di vita vissuto; come quando sulla Via dei seracchi salvasti quegli alpinisti incauti che avevano pensato bene di seguirti a distanza.

L: Bravo, Piccoletto. Sei perspicace e intelligente. Pare quasi che lo Pneuma sia in Te. Ora, dimmi: se facessi invece finta di niente e andassi per i fatti miei lasciandoTi nei guai, cosa avrei fatto?

D: Mi avresti abbandonato!

L: Ecco, appunto: abbandonato. Proprio come nella nuova dizione proposta: non abbandonarci alla tentazione!

D: Scusa, Leo, ma non ti capisco. I miei fedeli mi pregano appunto perché non li abbandoni alla tentazione. Dove sta il problema?

L: Te lo dico io dove sta il problema tecnico: pivello due volte, Tu e i Tuoi sommi druidi.

D: Spiega, Leo, perché qualcosa a Me e ai Miei, secondo te dev’esserci sfuggito.

L: Infatti! Ora, dimmi: a Te risulta forse che nonostante tutte le loro invocazioni i Tuoi fedeli non soccombano spesso alla tentazione?

D: Certo, Leo. Tuttavia poi si pentono ed Io li perdono e li riaccolgo nella Mia Grazia.

L: Già, su questo non discuto. Il problema reale è: o non hai accolto la loro invocazione, perciò li hai abbandonati, oppure non hai potere su ciò.

Nel primo caso sei responsabile dei loro peccati, come io lo sarei della Tua morte se non tornassi sui miei passi, pur rischiando, per salvarTi. Nel secondo caso saresti un Dio fasullo, un Dio di cartapesta, un Dio che teologicamente può, ma in effetti nulla può. In pratica un Dio inesistente e solo teorico.

D: Sai, Leo, credo che tu abbia ragione. Quasi mi dà fastidio dartela, perché ciò significa dar torto ai Miei illuminati druidi, che a dire il vero proprio tanto illuminati non devono proprio essere.

L: Beh, Bambinello, se lo dici Tu, io che dovrei dire? Sai, facci sopra una bella risata, che tanto il mondo andrà avanti comunque allo stesso modo sia che dicano ‘e non ci indurre’ sia che dicano ‘non abbandonarci’ o altro.

D: Dimmi, Leo: ma secondo te quale sarebbe la dizione migliore?

L: Credo che quella che usano i Valdesi sia migliore di quella cattolica, anche se non eccelsa: non esporci alla tentazione. Tuttavia c’è l’imbarazzo della scelta: proteggici, salvaci, difendici, preservaci … Questi vocaboli sarebbero anche migliori della dizione valdese, perché non necessitando del ‘non’, escludono una Tua responsabilità diretta nell’azione, sollecitando solo un Tuo aiuto o collaborazione.

D: Senti Leo, dato che ci siamo: che ne pensi della nuova dizione nel GloriaPace in terra agli uomini, amati dal Signore’?

L: Ti risponderò indirettamente così: e a quelli non amati che gli fai?

D: Ehm … ho capito! Grazie di tutto, Leo. Ora torno tra i Miei. Mi staranno invocando su ciò. Buon Natale!!!

L: Buon Natale pure a Te, Piccoletto. E cerca di crescere bene in Sapienza e Saggezza. Ciao.

D: Ok, Leo. Ti prometto che cercherò di  fare del Mio meglio. Su ciò c’è già il Padre che mi sprona assai.

L: Che vuoi, Piccoletto? Lui sta lassù e Tu, ora, quaggiù. Per il resto sono cavoli Tuoi, mica Suoi. È un po’ come il Tuo Tunghina bianca, quando dice: E non dimenticatevi di pregare per me. Buona domenica e buon pranzo. Poi, che succede? Che lui se la trova pronta a S. Marta, mentre il povero disgraziato se non ne ha si arrangia.

D: Leo, sei peggio del Demonio. Mi turbi sempre il cervello. Fortuna che tra di noi ci sono due millenni. Diversamente mi avresti dato filo da torcere assai. Ora vado. Ciao.

Billyno, che stava lì accanto sulla sua sedia, con un balzo saltò in grembo a Leone per farsi coccolare, facendolo svegliare. Leone aprì gli occhi, vide il monitor acceso e un bimbo luminoso che vi si smaterializzava. Quello stesso bimbo che vedeva dentro di sé, dormendo.

Come quasi d’incanto gli altoparlanti stereo del suo potente server fecero sentire delle voci. Le riconobbe come quelle dei fedeli della pieve che, guidati dalla voce metallica del druido burino, così declamavano: e non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male. Amen.

Amen! Disse Leone, alzandosi per andare in bagno, prima di coricarsi.

Sesac

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La tentazione storica e speculativa.

 

Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu. Ogni accostamento a fatti realmente avvenuti è puramente casuale.

Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

La tentazione storica e speculativa.

Leone non era al meglio da diverso tempo. Un continuo e diffuso tremore gli scuoteva il corpo.
Perciò, dopo aver rigovernato il pranzo, si sentì afflosciare: un pesante torpore lo colse, come se non dormisse da molti giorni, e le forze svanivano.
Decise pertanto di piantare il chiodo ai suoi impegni giornalieri e di coricarsi. Si addormentò quasi all’istante; mentre Billyno, che bramava andare assieme nell’orto, lo osservava sconsolato e deluso dalla sua poltrona, sgranando desolato gli occhioni neri.

Leone difficilmente sognava. Perlopiù, dormendo, il suo cervello lavorava preparando relazioni o discorsi che gli sarebbero poi serviti più avanti, oppure elaborando concezioni filosofiche, sociologiche o economiche.
Questa volta, invece, ebbe un sogno, che tuttavia non lo turbò per niente, lasciandolo indifferente.
La visione lo proiettò a nove lustri addietro: si rivide giovane nella sua casa attuale, mentre una donna gli faceva una visita inaspettata. La donna era Mary Grace.
Pure costei appariva giovane. Con sé aveva una culla con una bambina di pochi mesi e un uomo che la accompagnava, giovane pure lui. Leone non indagò su chi fosse costui, perché proprio non gli interessava affatto appurarlo: consorte, parente o semplice amico.
La donna gli mostrò la bimba, appoggiando la culla sulla tavola, facendogli un discorso pieno di sottintesi. In pratica che sua figlia, cui aveva dato il nome di Alejandra, se le cose in precedenza fossero andate a lei diversamente, avrebbe potuto avere come padre Leone.
Leone ebbe la sensazione che costei gli sollecitasse in modo sottinteso un contributo. Al che gli rispose, licenziandola subito: No tengo dinero. Me despido.
Il sogno, su questa sua affermazione, svanì.

Negli anni ’70, Leone, dopo aver frequentato il Decio Celeri in quel di Lovere, era andato nella città del Taurus per proseguire gli studi presso il Taurus Institute of Technology.
Là, lavorando e studiando simultaneamente – infatti non erano anni di vacche grasse per lui – conobbe per le sue mansioni di lavoro una splendida e intelligente rossina, segretaria alla Osram. Tra i due sbocciò subito una particolare e reciproca simpatia affettiva; perciò cominciarono a frequentarsi, e con l’andar del tempo a programmare seriamente il loro futuro, appena Leone avesse completato l’università.
Dopo oltre un paio d’anni di studi, però, Leone, nonostante l’ancor giovane età per quel ruolo, fu chiamato (quasi obbligato per scelta) a ricoprire un incarico dirigenziale presso il SIC (strategic investigation centre), venendo dirottato subito all’Accademia, dove in breve completò gli studi, intraprendendone pure altri.
Data la delicatezza del ruolo e il rischio che ciò comportava, Leone, dopo aver soppesato per bene i pro e i contro, addivenne in cuor suo alla conclusione che per il momento era meglio rinunciare a metter su famiglia. Ne parlò con l’amata rossina e si stabilì che ci si sarebbe pensato più avanti a impegno concluso, sciogliendo così la relazione con molto rincrescimento.
E fu proprio in quel periodo che gli giunse una missiva di un’ex compagna di classe, che gli voleva parlare.
Accettò, fissando l’appuntamento al suo primo periodico rientro al borgo natio, cioè per l’Immacolata.

Mary Grace, da tutti e in famiglia chiamata semplicemente Grace, era una ragazza normale, ultima d’una numerosa nidiata: non molto alta, non bella ma comunque gradevole, mora, capelli lisci e ondulati, mingherlina col naso aquilino, ginocchia sghimbesciate, tristerella e di rado sorridente, moderatamente intelligente. Sapeva, volendo, essere simpatica con chi entrava in sintonia. Era del segno della Vergine, nata subito dopo la Natività di Maria.
Era, al Decio Celeri, compagna di classe di Leone. Tra i due, nel tempo, era sorta una certa simpatia: quell’infatuazione affettiva propria dei giovani della loro età.
Grace, secondo le teorie di Leone, che già allora in materia non era un micco, era una che aveva degli evidenti complessi, dovuti alla sua situazione familiare. Era, infatti, orfana di madre da diversi anni.
La sua fobia più evidente era il terrore per gli animali morti, specie se appartenenti a quella specie di molluschi marini cefalopodi come le seppie. Temeva il laboratorio di biologia; tanto che Leone, un giorno, per farle superare l’impatto la costrinse di forza a stargli accanto mentre ne dissezionava una. Cosa che, almeno per quello, gli tolse il complesso.
Il padre era un tipo scorbutico e già anziano: alto, longilineo, stempiato, sciancato, asciutto, tetro e scontroso di carattere.
Leone lo aveva visto una volta, facendo una fugace visita a Grace con altri compagni di classe dopo una gita in montagna. Nonostante il saluto rivoltogli dalla compagnia, costui se ne stette accigliato sulla sua sdraio senza proferire parola, mentre questi sorbivano il tè che Grace aveva offerto loro.
Era un collega di mastro Geppetto; ma, a differenza di questi, si era industrializzato, sfornando ben sei pinocchi e, alla fine, pure due pinocchiette. Nulla di strano, perciò, se la moglie se n’era andata … a miglior vita.
Sicché, oltre a lavorare il legno, doveva essere particolarmente portato a ciurlare … col manico.
La famiglia apparteneva al clan dei mariuoli, che traeva, secondo la nomea popolare, la propria origine dalla deportazione di quei condannati spagnoli ai lavori forzati, confinati secoli prima in Valcamonica a lavorare nelle fucine di ferro, numerose nella valle, specie a Bienno e dintorni.
Abitavano nel centro storico di Esine, borgo sgarrupato a quel tempo, dove pure il sole faticava a entrarci d’estate. Pareva un accumulo disordinato di masi, addossati l’un l’altro e serviti da strette viuzze, spesso sormontate da bui archi e porticati, sotto i quali apparivano ancora alcune concimaie.
I locali chiamavano in dialetto camuno il borgo Éden, anche se l’accostamento a quello della Genesi era una spropositata diaclasi linguistica.

Leone, col frutto del suo lavoro, prima aveva aiutato la propria famiglia e poi s’era comprato in primavera una bella e potente auto: una Ford Mexico Ghia 1.750 blu con doppio carburatore, tetto in vinile, naso di Knudsen, consolle in radica, fornita di tutti quei confort che allora erano disponibili per una vettura di rango.
Perciò, un sabato, con quella si recò all’appuntamento, imboccando a fatica, intorno alle quattordici, a dx la viuzza che precedeva la piazza del paese, passandoci a stento.
Grace lo stava già aspettando, bardata e agghindata di tutto punto. E mentre lui con diverse manovre girava l’auto in uno spiazzo angusto, lei scese e salì in auto.
Su richiesta di Leone, Grace manifestò il desiderio di risalire la valle. Leone, puntò quindi verso il Tonale, dove avrebbero preso un caffè prima di rientrare.
Mentre guidava Leone osservava Grace e si chiedeva il cui prodest, subodorando una sorpresa.
S’era messa un elegante tailleur nero con sotto una fine camicetta bianca in pizzo, sbottonata in alto in modo di esaltare con l’apparente scollatura il piccolo seno. Con capelli appena fatti e con vezzosi riccioli finali che lambivano il collo e le spalle. Profumata, ben truccata e con aspetto sorridente e giulivo, proprio di chi intende ottenere qualcosa. Si comportava e parlava come se fossero una coppia da tempo affiatata. Mai a Leone era capitato di vederla così.
Cominciò a dire che in casa aveva un grosso problema: il padre s’era accasato da poco con un’insegnante in pensione conosciuta a un soggiorno marino; donna che, ovviamente, intendeva comandarla a tutto spiano. Perciò, pure lei, voleva accasarsi velocemente, perché tra loro non vi era feeling, ma solo astio reciproco. Disse pure ch’era disposta a lasciare il borgo anche per una grande città, dove avrebbe potuto continuare gli studi universitari in economia o intraprenderne altri, visto che la scelta fatta non la soddisfaceva.
Dal discorso fatto e dalle allusioni Leone capì in fretta che il candidato era lui, ma finse di non capire più di tanto. Tuttavia si domandava dove mai fosse finito il rapporto di Grace col suo moroso storico, figlio d’una tabaccaia vedova.

Leone, molto esperto di psicologia già al liceo, era stato spesso il confidente, il confessore e il consigliere di varie ragazze della sua classe, che s’erano rivolte a lui per superare certe loro problematiche giovanili, sia sentimentali che familiari. Ovviamente nella massima discrezione.
Forte di quel ruolo che Grace conosceva, ma di cui non s’era mai avvalsa, Leone decise di rivestire ancora quei panni, ignorando, di fatto, l’esplicita richiesta che costei gli avanzava.
Leone, infatti, spesso evitava l’ostacolo che gli si parava davanti, in pratica disconoscendolo. Era come se non capisse, ma in realtà andava oltre per vedere come e per quanto, ancora, il soggetto si sarebbe spinto.
Consigliò, pertanto, a Grace pazienza nei rapporti familiari, che forse si sarebbero appianati. Inoltre che a intraprendere la vita coniugale così d’acchito poteva essere un surrogato momentaneo, magari capace di generare in seguito problematiche maggiori.

La giornata era piovosa, ma fuori la temperatura era prossima allo zero.
Grace disse di sentire caldo in auto. Perciò si tolse la giacca del tailleur, sistemandola sul sedile posteriore, continuando con fervore a sostenere la propria idea.
La camicetta trasparente di pizzo le fasciava bene il corpo, esaltandone le forme e valorizzando le braccia e tutta la pelle. Sotto, infatti, portava il solo reggiseno.
Giunti nei pressi di Edolo, a Leone parve che cominciasse a innervosirsi, considerato che il suo progetto non faceva molti passi avanti. Leone, infatti, la scrutava attentamente solo con la coda dell’occhio senza che costei se n’avvedesse, tenendo gli occhi ben fissi sulla strada.
Decise perciò di procedere in altro modo, temendo che un discorso palese fosse rifiutato e desiderando che la guardasse bene mentre gli parlava.
Perciò chiese a Leone se intendesse guidare tutto il pomeriggio e se non fosse il caso di fermarsi un po’ a riposare. Leone rispose che gli pareva che la meta fosse il Tonale per un caffè. Comunque, se lo gradiva, non aveva nulla in contrario a fermarsi.
Là dove il torrente Rabbia confluisce nell’Oglio, le piene alluvionali avevano depositato molta ghiaia, che l’Anas provvedeva sistematicamente a usare come sbarramento per proteggere la strada, creando anche un ampio spiazzo da poter usare come parcheggio. Proprio là Leone accostò, posizionandosi discosto dalla strada e con il muso dell’auto rivolto verso la foce del Rabbia.
Fuori faceva freddo; ne conseguì che senza la ventilazione del moto i vetri termici dell’auto in breve si appannassero, oscurandosi come se vi fossero state messe delle tendine.
Grace continuava nella sua perorazione guardando bene in faccia Leone, che in cuor suo la osservava divertito pur restando col viso imperturbabile, come se la cosa non lo riguardasse.
Poi, quasi stremata, si acquietò, guardando il fiume per alcuni istanti. Fu proprio allora che Leone ebbe la certezza che avrebbe messo in atto il suo ultimo tentativo, l’unico che le era rimasto. L’arma atomica di Eva: la seduzione.
Ruppe il silenzio girandosi verso Leone, chiedendogli se l’auto aveva i sedili reclinabili. Cosa non scontata per le auto, pure di classe superiore a quel tempo.
Leone affermò di sì; e senza aspettare la sua richiesta le disse che sul lato esterno del sedile vi era una leva. Bastava tirarla leggermente verso l’alto e poi inclinare il sedile nella posizione desiderata.
Grace armeggiò per un po’, ma non vi riuscì, chiedendo, indi, aiuto a Leone. Lui allungò il braccio dietro il sedile passeggero, onde evitare di doverle passare davanti e sfiorarla. Tuttavia non ci riuscì perché la manovra era difficoltosa in quel modo. Perciò, scese dall’auto, vi girò attorno, aprì la portiera del passeggero e sbloccò la leva, ripetendo poi il percorso inverso per risalirci.
Grace distese il sedile, vi si adagiò e stette in silenzio per un po’ con lo sguardo fisso al soffitto dell’auto; mentre Leone, divertito e imperturbabile nello stesso tempo, la scrutava.
Si girò infine verso di lui, aprì ulteriormente la camicetta con movimento lento e con lo sguardo e la mimica lo invitò a piegarsi su di lei per abbracciarla e baciarla.
Leone, imperturbabile e in silenzio continuò a fissarla negli occhi, finché costei ebbe un gesto di stizza. Si eresse di scatto e in modo concitato e rabbioso così lo apostrofò: ¿Me has tomado quizás por una puta? ¿Pero tú, no te dejas nunca ir?
No! – rispose seccamente ma in modo fermo Leone – Per il resto hai detto tutto tu, io non ho detto nulla. Credo che tu ora voglia tornare a casa.
Grace non aggiunse nulla, raddrizzò il sedile, abbottonò la camicetta, indi prese la giacca del tailleur e se la mise.
Leone aspettò che si fosse sistemata. Quindi accese il motore e partì per riportarla a casa.
Tre mesi dopo Grace fu per una settimana in viaggio di nozze nel paese dove si producono i Cucù. Ne approfittò per inviargli una cartolina al giorno. Non si sa se per rivalsa, per dirgli addio o per fargli … cucù.

Appena il sogno svanì, Leone elaborò subito il fatto collegandolo al passato, dicendosi, mentre dormiva: ma guarda cosa oggi vado a sognare. Devo proprio essere rimbischerito con l’età.
Non aveva neppure finito di dirselo che, continuando a dormire, sentì una voce familiare, iniziando con questa un colloquio.

D: Ciao Leo. Dimmi, ti è garbato rivedere Mary Grace?
L: Senti, Buon Dio, questo, sicuramente, è stato un Tuo scherzo da … prete.
D: Ma no, Leo. È il maligno che ti tenta, proprio come un tempo tentò il Mio fedele Giobbe.
L: Sicuramente accenni a Giob. 1,7-12. Beh, sai che Ti dico? Che se le cose stanno così, scusami l’espressione, Tu e il maligno siete come culo e camicia.
D: Dai, Leo, non essere così drastico. Dopotutto non abboccasti anni fa e non ti sei scomposto pure ora.
L: In effetti sai benissimo che neppure Tu saresti in grado di farmi fare ciò che non voglio.
D: Purtroppo lo so. Tu hai il vizio di leggere solo sul tuo libro, perciò ti comporti di conseguenza e segui imperterrito la tua strada. Lo dice sempre pure la Leonessa.
L: Senti chi parla. Tu, scusa, su quale libro leggi: sul mio, sul Tuo o su quello di Pincopallino? Poi, in ciò, la Leonessa non fa testo. Questo è poco ma sicuro.
D: Senti, vorrei parlare un po’ con te della tentazione. Credo che tu sia qualificato a farlo, considerati i tuoi trascorsi in materia.
L: Beh, mi pare sia inesatto. Credo che più che essere tentato io sia stato spettatore di ciò.
D: Non sempre Leo; almeno una volta sei stato coinvolto con pulsioni incontrollate, anche se per pochi istanti. Sai, ti scrutavo da lassù quando Nassi, ufficiale russo aggregata al tuo gruppo per l’occasione, ti si propose senza veli nella tua suite. Ti ricordi di lei su nell’Essex, quando ti disse “Je suis prête!”.
L: Certo che me la ricordo, e pure con piacere. Era una splendida donna e amabile walchiria. Come lei ne ho viste poche in giro. Al suo confronto Grace apparirebbe come uno sgorbio di natura.
Ma Tu, che fai lassù? Il guardone?
D: Vedo che mi hai … pagato.
Su, procediamo. Ora parlami della tentazione: quella di un tempo e quella del sogno, perché mi paiono in connessione.
L: Certo che lo sono. Se non ci fosse stata la prima, la seconda non sarebbe esistita.
Innanzitutto credo che la storia del maligno che tenta l’uomo sia assai discutibile. Personalmente la lascio al Tuo tunghina bianca che lo cita a ogni piè sospinto. Beato lui che ci crede.
Io ritengo che la tentazione sia lo stimolo e la reazione, nello stesso tempo, che avviene nella testa dell’uomo. È generata da aspettative, da problematiche e da progetti.
Prendiamo il caso di Grace.
Io da poco avevo lasciato la bella e amata rossina, costretto dai possibili rischi che la mia nuova mansione comportava. Perché l’amore implica anche l’evitare ad altri i propri rischi.
E che avviene? Che Grace, ignorando tutto ciò, ha un suo progetto da realizzare, più o meno forzata dagli eventi. Perciò si guarda in giro per trovare la scelta migliore. In ciò non trovo nulla di disdicevole; semmai di discutibile.
Ti ricordi di quel tale, meticcio arabo, soprannominato Ar Mandù la faina? Ebbene, quello adocchiava ragazze, come molti altri, magari anche seriamente. Una di queste non lo degnava affatto, perché tutta intenta col curato. Poi succede che resta incinta e allora che ti fa visto che il prete non la può sposare? Fa dei sorrisini all’Ar Mandù e accetta il suo invito. Gli si concede e dal petting si arriva al coito.
Quello si esalta e si sente un dongiovanni; ma pochi giorni dopo la tipa gli comunica che è rimasta incinta. Dal curato? No di certo: da lui. Risultato: matrimonio frettoloso e padre … putativo.
E questa sarebbe la tentazione storica che è diversa dalla tentazione speculativa. Un po’ come avviene col venerdì storico e col venerdì speculativo.
D: Credo di capire ciò che intendi dire: che, ad esempio, tu e Ar Mandù abbiate avuto una tentazione storica, generata da una tentazione speculativa.
L: Bravo! Hai capito benissimo.
Per essere più esplicito: se la mia esperienza con Grace è una tentazione storica, il sogno che ho ora avuto è una tentazione speculativa.
Nella prima c’è l’evento storico, nella seconda il possibile risultato, quindi il fine. In pratica il sogno mi fa vedere il possibile fine all’esecuzione del primo: l’avere dei figli e una famiglia. Un’aspettativa umana comprensibile.
D: Dalla quale, però, tu ti sei sempre astenuto, sposandoti tardi.
L: Ti dirò, col senno di poi, che in effetti oggi il non avere figli è una grazia di dio – concedimi l’espressione – con tutte le problematiche oggi esistenti.
Non so se fu bene o male per me. Di certo fu che i fatti della vita mi portarono a fare determinate scelte, di cui sono appagato. Magari sarebbe stato molto meglio se mi fossi sposato presto, ma con i se e con i ma non si fa la storia.
D: Già. Infatti la possibilità è un’eventualità e non una realtà. L’atto speculativo non sempre dà i risultati voluti, anche se ci si mette tutto l’impegno possibile. Troppe varianti interagiscono poi. Non c’è forse il proverbio che tra il dire (progettare) e il fare (realizzare) c’è di mezzo il mare?
L: Infatti è così.
La sessualità può essere una delle tentazioni, ma ogni cosa nella vita può essere considerata tentazione. Diventa tale quando non si fa analisi speculativa.
Ti faccio un esempio: vedo una fetta di salame e la bocca mi crea acquolina. Subisco la tentazione se la mangio, soddisfacendo le aspettative della bocca. Ci resisto se faccio analisi speculativa e se considero che non tutto ciò che è gradito alla bocca è benaccetto pure allo stomaco.
Subisco la tentazione speculativa quando, ideato un progetto, lo perseguo per il fine primario che mi sono proposto, pensando che ciò porti alla realizzazione di me stesso.
D: Sai, Leo, non mi è troppo chiaro. Elucubra meglio.
L: Scusa, ma Tu stai ancora sul pinnacolo del tempio?
D: Perché mi fai questa domanda. Certo che no!
L: Per collegarmi alle Tue tentazioni: Mt. 4,1-11; Mc. 1,12-13; Lc. 4,1-13.
Tu, come le hai superate?
D: Mi pare semplice: facendo analisi speculativa, perciò anteponendo il risultato reale all’aspettativa immediata prospettatami. In questo siamo molto simili, Leo.
L: Bene. A questo punto torniamo all’esempio di Grace, facendo analisi speculativa; perciò analizzando sia la tentazione storica sia la tentazione speculativa.
Ipotizzando che fosse in buona fede il risultato dell’analisi è questo: in primis Grace vuole iniziare un rapporto affettivo, nonostante che tra noi non ci sia mai stato un candido bacio o un semplice abbraccio. In secundis che nell’offrirsi vuole provare piacere e goderne. In terzis che per superare le sue problematiche in famiglia vuole crearsene una propria.
D: Vero. Il ragionamento mi pare azzeccato. Procedi.
L: Ora, sempre analizzando il suo tentare ed esserne simultaneamente tentata – perché è chiaro che la sua sia una premeditazione di superare le tre problematiche in essere: primis, secundis, terzis – pur considerando l’impellenza degli eventi (i problemi con la matrigna e anche con il padre), è il quid delle scelte che può arrecare molta perplessità, forse troppa, anche se non conosco la procedura che l’ha portata a formulare ciò.
In sostanza: questa era l’unica possibilità che aveva per superare il problema? Perché, poi, tanta fretta? Qual era la causale del puntare innanzitutto su me, visto che poi a breve si coniugò con un altro?
D: Beh, mi pare logico che i dubbi fossero palesi e molto evidenti.
L: Dopo aver considerato l’analisi in buona fede, proviamo a vedere quella dell’eventuale malafede.
Qua abbiamo un racconto sugli eventi del padre che non quadrano molto, anche se possono essere stati reali.
Il padre, secondo me, era uno scorbutico. In pratica uno a cui è meglio stargli alla larga. L’eventuale nuova moglie, specie se ex insegnante, aveva sicuramente una pensione decorosa. Chi glielo faceva fare di sposarsi con uno così, che tra l’altro non era un adone, per andare a vivere in una realtà sgarrupata? O forse era una con poco cervello, morta di fame e ancora in calore?
Altro quesito: vi era una motivazione celata da coprire dietro la decisione di Grace, da imporgli tanta fretta? Alejandra?
D: Dimmi Leo: per uno come te, specie allora, sarebbe stato uno scherzo appurare la verità. Lo hai mai fatto?
L: No, Buon Dio, e per un motivo molto preciso.
D: Cioè?
L: Mi pare semplice: le mie scelte erano molto diverse dalle aspettative di Grace. Infatti, mentre mi parlava, io mi sentivo molto lontano dal suo modo di essere, dal suo mondo e dai suoi problemi, totalmente indifferente. Il mio non era un mondo migliore, uguale o peggiore del suo; era solo un mondo estremamente diverso, non però contrapposto. Era semplicemente un altro modo di vedere e di vivere la vita, sia nel costruirla sia nel programmarla.
Riducendo tutto a un nocciolo: non si costruisce una famiglia in quel modo, se non vuoi poi naufragare interiormente e subirne le conseguenze, anche se ti va comunque da … culo.
D: Questo mi è sempre stato chiaro. Capisco che Grace, in quel modo, si giocò tutte le sue già scarse possibilità d’avere successo con te.
Di sicuro tu non dai mai nulla per scontato, sia che lo veda sia che ti sia detto. Analizzi sempre tutto.
L: Mi pare il minimo che uno possa fare. Ricordi ol Paulì? Quand’ero giovincello e lo accompagnavo in montagna mi diceva spesso: “Ragazzo, ascolta me: credi sempre a metà di quel che vedi e a nulla di quel che senti!”
D: Il vecchio Paulì era un saggio, questo è poco ma sicuro.
Ma come hai vissuto la tentazione?
L: Da spettatore, Buon Dio. Sicuramente né come attore, né come comparsa.
Ora lasciami dormire. Ne ho bisogno.

Dopo molto Leone si svegliò. Erano già le diciassette.
Aprì gli occhi e vide che vi era luce nella stanza; poi guardò oltre la porta e vide altra luce venire dalla veranda. Pensò d’acchito che Madame si fosse alzata prima di lui.
Infine si rammentò che s’era coricato dopo pranzo, pertanto ch’era sera e non mattino. Perciò si disse: Leo, sei proprio tutto fuso!
Si alzò e Billyno gli corse incontro. Leone capì che voleva, perciò salì per un po’ nell’orto con lui.

Sesac 

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PRESOLANA: tra storia e leggenda.

PRESOLANA: tra storia e leggenda.

Alcuni storici fanno risalire il toponimo Presolana al Medio Evo; e precisamente alla guerra condotta da Carlo Magno (742-814) contro i Longobardi negli anni 773-774, terminata con l’assedio e la conquista di Papia (oggi Pavia), capitale del Regno Longobardo. Perciò, viaggiando tra scarni cenni storici e leggenda, nasce in quel periodo la denominazione attuale della Presolana.

Si racconta che le armate Franche, guidate da Carlo Magno, nell’anno 774 occupassero tutta la Valcamonica in cinque tappe, partendo da Lovere fino al Passo del Tonale. Nella prima le armate raggiungono Boario, nella seconda Breno, nella terza Grevo, nella quarta Edolo e nella quinta il Tonale.

A Breno vi era la rocca longobarda del feudatario Principe Alano, proprio dove si trova oggi il castello di Breno. Costui, dalla sua rocca, controllava e governava tutta la valle con un buon esercito; ma tuttavia non era minimamente in grado di contrastare l’imponente esercito franco. Perciò, per non essere annientato, corse incontro a Carlo Magno e si sottomise a lui. Carlo Magno accettò il suo vassallaggio e per ricompensa lo lasciò al suo posto al comando e a presidio della valle.

Avvenne, però, che quando Carlo Magno se ne fu andato verso Brescia, Alano riprendesse e instaurasse di nuovo il potere longobardo, arrestando il piccolo presidio franco ch’era stato lasciato per riscuotere le tasse e per l’amministrazione ordinaria. Alcuni franchi riuscirono però a sfuggire alla cattura e, datisi alla fuga, raggiunsero Carlo Magno per aggiornarlo. Questi tornò sui suoi passi con buona parte dell’esercito per riprendere il controllo  della rocca e della valle.

Alano, vistosi perduto e non avendo alcuna possibilità di battere l’esercito franco, pensò bene di fuggire sui monti per sottrarsi  alla cattura e all’annientamento. Perciò, col suo esercito imboccò la selvaggia Valle di Scalve e giunse a Colere. Da qui, vedendo  che l’esercito franco lo inseguiva pur a considerevole distanza, pensò bene di salire ancora più su, giungendo al Passo dello Scagnello (2.078 m) e divallando quindi coi suoi verso Valzurio. Si accampò nella piana del Moschel (1.265 m), pensando d’essersi così sottratto all’inseguimento.

I Franchi, però, non si dettero per vinti e dopo averli individuati valicarono pure loro il Passo dello Scagnello con buona parte dell’esercito, ingaggiando battaglia coi Longobardi nella piana in cui questi s’erano accampati. Dopo strenua difesa Alano si vide sopraffatto. Perciò, per sfuggire alla cattura si diede alla fuga con dieci suoi fedeli nobili cavalieri, cercando scampo sui monti circostanti. Giunti nella zona dove si trova l’attuale rifugio Rino Olmo, valicarono il Passo degli Agnelli (1.950 m) e si rifugiarono con i cavalli nella grande Grotta dei Pagani (2.259 m).

Un nutrito manipolo di Franchi, però, li inseguì; e, grazie alle tracce lasciate in alto dai cavalli di Alano sulla neve ancora presente in altura, riuscirono a individuare il tragitto e a trovare facilmente dove si erano nascosti, arrestandoli e incatenandoli.

Ne consegue che il toponimo Presolana provenga, secondo questa storia/leggenda da quei fatti bellicosi, grazie all’assonanza del luogo dove fu “Preso Alano” in “Presolana”. Non solo. Infatti la grotta in cui fu catturato Alano e i suoi fu chiamata da allora “Grotta dei Pagani”, essendo i Longobardi pagani rispetto ai Franchi, ch’erano cristiani.

Carlo Magno si portò seco incatenato Alano, giustiziandolo probabilmente poi. Però, prima di lasciare Lovere e la Valle Camonica, con editto imperiale stabilì che due importanti rocche avanzate longobarde venissero trasformate  in chiese e santuari cristiani. Che sarebbero oggi i due santuari: della Madonna della Torre a Sovere e quello di S. Giovanni sul Monte Cala a Lovere.

Sam Cardell

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E notte pare!

        E notte pare!

Scoscia irata la pioggia sulla selce
della corte scura.
Battente è; e or da lungi e ora ivi
s’ode il sordo tuon.
Estate è ancor!

Ma il tempo delle castagne pare,
fresco e umido è.
Ciel e lago si fondon in tutt’uno
di caligine ombrosa.
Mezzodì è!

Batton rintocchi le campan della pieve,
dell’ora sesta il segno,
al villan, ma lente e roche sono;
pur se compieta pare.
E notte pare!

 

          Sam Cardell

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Le riforme che mai si faranno.

 

Le riforme che mai si faranno.

La vicenda Ubi/Isp pone sotto la lente dell’analista delle considerazioni particolari, la prima delle quali è: che vogliano fare questi governanti, sia nostrani che Ue.
Continuamente, infatti, a ogni piè sospinto si sente declamare fino alla noia che servono le riforme, anche se ci si guarda bene dallo specificare chiaramente al popolo quali siano queste riforme.
I più smaliziati avanzano il sospetto che non lo si dica apertamente, perché diversamente il partito dei “forconi” prenderebbe subito corpo ovunque per “inforcare” materialmente i politici, specie quelli che da decenni si sono dimostrati nei fatti i “servi” della finanza e del potere economico: la Sx (Pd)!

Il nostro Debito sovrano ha raggiunto nuovi picchi (2.530 mld secondo la Banca d’Italia) grazie sia allo sforamento di bilancio dovuto alla pandemia (ma non vi erano altre alternative?) sia a quell’assistenzialismo a pioggia che ha investito un po’ tutte le categorie sociali, creando più danni che utilità.
In questi giorni si è prodotta la caccia alle streghe per quei 5 deputati (in realtà 3) che hanno ottenuto il bonus, ma che in realtà, conseguendolo, non sono incorsi in alcun reato, ottenendo solo ciò che il Governo con i vari Dpcm aveva stabilito per tutti. Certo, si può anche discutere sull’opportunità politica di richiederlo; tuttavia il discorso va spostato a monte e cioè: quanti pasticci ha creato questo Governo deliberando in tal senso?
Perché 3 deputati possono creare uno sbilancio irrisorio di 1.800 €, ma centinaia e migliaia di avvocati, notai, imprenditori, commercianti e via dicendo producono esborsi di mld. Per cui nasce la domanda spontanea: tutti costoro sarebbero morti di fame senza quel bonus, considerate le loro entrate e patrimonio? Oppure i vari Dpcm in materia dovevano prevedere vincoli o restrizioni per darli a chi ne aveva realmente bisogno?
Basti pensare ad esempio al bonus auto elettriche o vacanze per capire a chi questi bonus andranno. A chi può spendere comunque, bonus o non bonus!
Qualcuno immagina forse che una famiglia normale che non riesce ad arrivare a fine mese possa permettersi il lusso di andare in vacanza spendendo migliaia di € – che non ha – per avere un bonus governativo di 500 €? Oppure la stessa famiglia si può concedere il lusso di acquistare un’auto da 60.000 € per ottenere il bonus governativo di migliaia di €? Chi ottiene e otterrà questi bonus? Quelli che comunque possono spendere, indipendentemente dal bonus. Perciò i benestanti.

Secondo la Banca d’Italia il Debito sovrano nel 2019 fu di 2.409.841 mln di €, con un Pil di 1.787.664 mln.
Ora, considerando il fatto che siamo solo a poco più di metà anno e che il Pil avrà un drastico ridimensionamento a due cifre, avremo che si ridurrà a 1.400/500 mld (ammesso che la pandemia non crei ulteriori problemi) e perciò è facile prevedere che il rapporto Deb/Pil salga intorno al 170%, se non oltre.
Senza considerare il probabile ricorso al Mes e al Recovery fund, che anche se non conteggiati in bilancio lo farà schizzare verso o oltre il 200%, secondo ciò che s’intenderà ricevere.
Questi fondi Ue – si dice – saranno usati per rilanciare il Paese e ammodernizzarlo (infrastrutture, digitalizzazione, sanità, scuola …), salvo poi doverli rendere tra 6 o 10 anni.
Però uno Stato non produce utili, semmai lo fa produrre alle imprese. La storia dice che gli stati dei nostri tempi producono disavanzo, quindi debito sempre maggiore. Ne consegue che a tempo debito che si renderà per ripagare il debito: le infrastrutture, le scuole, la sanità, la digitalizzazione … le banche e i c/c dei cittadini?
Il sospetto viene spontaneo, perché il Governo garantisce con le banche 400 mld di prestiti alle imprese, pur essendo indebitato fin oltre i capelli di suo. Prestiti che se andranno male le cose saranno altrettanti Npl.

L’operazione Ubi/Isp nasce dai decreti del Governo Renzi, su sollecitazioni Bce e Ue, con la trasformazione obbligatoria delle Popolari in S.p.A., dando il via a quelle continue aggregazioni e acquisizioni (a costo zero) che diversamente sarebbero state impossibili con il voto pro capite.
A ben guardare per Isp è un’operazione in utile, perciò che crea un surplus operativo e non un costo, fatta a spese e a carico di tutti gli azionisti Ubi: gli unici che si troveranno a pagare il conto.
Guardando nel dettaglio Isp ha sì deliberato un aumento di capitale cash di 1,1 mld per far fronte al corrispettivo di 0,57 €/azione Ubi – spendendone effettivamente circa 581 mln – ma si ritroverà a incassarne molti di più dalla cessione di 532 sportelli Ubi a Bper.
Chi pagherà il conto di tutto ciò? L’azionista Ubi, che a fronte di un’ipotetica partecipazione azionaria e di voto del 1% in Ubi ora si ritroverà ad averne in Isp molto meno della metà, compresi i dividendi futuri. Tutto ciò per il misero corrispettivo di 0,57 € per azione.
Queste, purtroppo, sono le riforme … necessarie, fatte o da farsi a breve. Quelle – come si dice in borsa -adatte a pasturare il parco buoi.

Sam Cardell

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La recessione non è figlia del Coronavirus,

 

La recessione non è figlia del Coronavirus.

Osservando la storia dell’ultimo mezzo secolo si nota che ognuna delle quattro ondate di accumulo del Debito pubblico ha prodotto sempre una crisi mondiale.
Ora siamo alla quinta ondata, che è iniziata ufficialmente nel 2010 e mai terminata, molto più imponente e complessa delle precedenti. È tuttora in corso e il Coronavirus la sta facendo deflagrare ovunque. Non vi è nazione che ne sia indenne.
Incolpare il virus (Covid-19) è tanto semplicistico quanto inetto. Appunto perché la crisi non è nata ora, ma si protrae da vario tempo. È una crisi di liquidità: negli stati, nelle imprese, nelle famiglie.

La crisi attuale trae le sue origini dal fallimento della Lehman Brothers che nel settembre 2008, avvalendosi del Chapter 11 (procedura fallimentare Usa), dichiarava che i suoi debiti erano così composti in milioni di $: bancari 613, obbligazionari 155, di attività 639.
Creando, di fatto, la più imponente bancarotta nella storia sia degli Usa sia del globo. Innescando un effetto domino su tutte le banche del pianeta.
Che erano le ‘attività’? Per lo più subprime: i mutui concessi (allegramente) ai privati a basso rating (interesse).
La crisi dei subprime nasce ovviamente prima e trae la sua origine dalle manovre espansive monetarie Usa – poi copiate dagli altri stati – per il rilancio dell’economia degli anni ’90. In quel credere che per rilanciare l’economia basti inondare di soldi, con mutui e fidi, il sistema, compresi quei soggetti che non possono accedere ai tassi d’interesse di mercato, perché hanno avuto problemi pregressi nella loro storia di debitori.
I subprime, in sostanza, sono dei Npl, perciò crediti per lo più inesigibili. Uno dei tanti Npl che gravano su tutte le banche del pianeta. La cui esigibilità imporrebbe il fallimento del soggetto, con conseguente perdita e fallimento quasi sicuro della società erogatrice.

La storia insegna che un debito è sostenibile in rapporto al Pil prodotto, sia questo individuale, societario o nazionale. Appunto, però, perché legato al Pil il rischio è precario, poiché il Pil è certo al momento (retribuzione o ricavi), ma solo ipotizzabile in prospettiva.
Ecco perché il virus, con il necessario lockdown, ha accentuato l’attuale lunga crisi: sono aumentate le spese e diminuiti gli introiti. In pratica ha fatto saltare tutte le linee economiche programmate.

Secondo il lif (Istituto di finanza internazionale) il debito globale nel 2019 era del 322% del Pil globale (+ 40% sul 2008), per un ammontare complessivo di 255 mld $ e così composto: 74mila delle aziende non finanziarie, 70mila dei governi, 63mila delle società finanziarie e 48mila delle famiglie.
Con la sottolineatura che il debito dei governi vale l’80% del Pil globale. Stati Uniti al primo posto.
E se il Pil crolla?
A marzo 2020 le emissioni di titoli di Stato nel mondo sono ammontate a 2.100 mld, altro record e livello più che doppio rispetto alla media degli ultimi tre anni.
In base a ciò il lif prevede che il debito mondiale quest’anno possa salire di 20 punti, dal 322 al 342% del Pil; per superare nel 2022, per la prima volta nella storia, il 100%.

Gran parte del debito arriverà dalle economie avanzate.
Stando alle previsioni ante virus, gli Usa chiuderanno l’anno con un deficit di 4mila mld $, il Giappone di mille $, l’Ue di 942 mld €. Mentre il debito pubblico complessivo degli Stati della moneta unica salirà da 10.250 a 11.440 mld €.
Le stime del Fondo monetario internazionale sul rapporto debito/Pil 2020 di molti Paesi del G7 sono stupefacenti: 131% gli Stati Uniti, 251% il Giappone, 155% l’Italia, 115% la Francia. Cifre da capogiro!
Sempre secondo il fondo, tuttavia, l’aspetto positivo per le economie ‘avanzate’ è che tutto questo debito è attualmente ‘sostenibile’ alle ‘condizioni attuali’.
Che significa? Che a tassi quasi allo zero il conto interessi per ogni singolo debito sovrano è sostenibile. Infatti, per tutti i paesi ‘ricchi’, Italia compresa, pur avendo aumentato di molto il rispettivo debito pubblico, la spesa per pagare gli interessi in rapporto al Pil è oggi inferiore a quanto fosse nel 2007, alla vigilia della grande crisi. Questo nonostante il rapporto debito/Pil sia in molti casi aumentato di almeno 40 punti percentuali.
Non per nulla tutte le banche centrali stanno iniettando nel sistema migliaia di mld a tassi prossimi o uguali a zero.

Ponendo un esempio: se vi è una massa monetaria in circolazione di mille mld il costo dei prodotti e servizi ipotizziamolo a 1. Se la portiamo a 2mila, il relativo costo, a parità di prodotti, salirà a 2. In pratica creerà un’inflazione del 100%.
Perché, ovviamente, il costo di ogni immissione di denaro non sarà a costo zero, anche se il tasso per i Debiti sovrani sarà anche nominalmente quasi, uguale a zero o addirittura negativo. È la massa monetaria circolante che crea inflazione, perché il suo costo sistemico effettivo va rapportato ai vari prodotti.
Da cosa lo si evince? Dai tassi negativi imposti dalle banche centrali alle rispettive banche sui depositi.
Non per nulla tutti i correntisti pagano, da alcuni anni, costi elevati sulla gestione dei propri conti correnti. Conseguenza indiretta di questa imposta.
Presso la banca centrale (Bce) vi sono due tipi di deposito. Il primo, obbligatorio, rappresenta l’1% dei depositi della clientela e non è gravato da tassi; il secondo è relativo alla liquidità in eccesso che le banche hanno.
Il primo è di circa 130 mld €.
Il secondo è superiore ai 1.700 mld € e in costante e notevole aumento dal 2014, per lo più generato dalle varie misure monetarie espansive messe in atto dalla Bce: Ltro (long term refinancing operation – prestito agevolato alle banche per 4 anni a tasso zero), T-Ltro targered (prestito elargito a tasso quasi zero in funzione di successiva erogazione di parte di questi all’economia reale), vari lanci di Qe (quantitative easing – per acquisto di titoli soprattutto governativi, ma pure societari). Su questo deposito le banche pagano il tasso negativo dello -0,40%.
Le banche centrali che attualmente praticano tassi negativi sono, oltre alla Bce di cui si è appena detto sopra: Bns (Svizzera) -0,75%, Boj (Giappone) -0,1%, Bnd (Danimarca) -0,65%, Bcs (Svezia) -0,25%.
Ciò sta dimostrando che l’immissione costante di liquidità nel sistema non raggiunge lo scopo proposto di alimentare e sostenere l’economia se non in minima parte; creando, di conseguenza, una liquidità eccessiva che ha, con i tassi negativi imposti, un costo che ricade poi su tutti più o meno indirettamente. Diversamente non ci sarebbe recessione, né un eccessivo deposito di liquidità presso la Bce, specie dai paesi Core.
Ne consegue che le politiche monetarie delle banche centrali sono fallimentari e aleatorie: tamponi provvisori a stati di emergenza o a situazioni degenerate che si protraggono da qualche tempo.
Non è, infatti, con l’assistenzialismo finanziario e pubblico che si risolveranno i problemi di una società intenta a spendere (sprecare) da decenni più di quanto produce e più di quanto potrebbe permettersi. Perché l’attuale assistenzialismo sfrenato è destinato solo a incancrenire una situazione economica già complessa.

Pure per i paesi emergenti il debito è in costante e rapida crescita, anche se più sostenibile nei tassi rispetto al passato e per lo più in valuta estera (8.300 mld $ – nuovo picco storico, più che raddoppiato in soli 10 anni), favorito da tassi bassi e dollaro debole.
Si calcola che abbia superato i 72mila mld $, di cui 5.300 mld nel 2019 e con 730 mld in scadenza nel 2020. Buona parte di questi ultimi è a rischio default: Argentina (già 8 default all’attivo), Libano ed Ecuador (che han già mancato i pagamenti), Zambia, Gabon, Mozambico, Congo, Suriname e altri ancora.
Mentre per altri il costo interessi e ormai insopportabile, perciò superiore al 20% delle loro entrate: Gibuti 60%, Libano 40%, mentre Sri Lanka, Angola e Montenegro sono oltre il 30%.
Nel complesso il debito dei Paesi emergenti, escluso il settore finanziario, ha raggiunto il 187% del Pil con l’incredibile punta di Hong Kong del 365%.
Su tutti questi debiti aleggia il rischio tapering, qualora gli Usa volessero precedere in futuro alla normalizzazione (aumento) dei tassi.

Nel 2020 sono in scadenza bonds del Debito pubblico da rifinanziare per un controvalore di 19mila mld $, di cui il 30% nell’area dei Paesi emergenti (soprattutto Cina, India e Brasile). Nei mercati ‘maturi’, i Paesi che saranno chiamati al più ampio rollover (rifinanziamento) del debito sono Usa, Giappone e Germania.
Pure il debito delle famiglie sta esplodendo, raggiungendo nuovi record in Belgio, Finlandia, Francia, Libano, Nuova Zelanda, Nigeria, Norvegia, Svezia e Svizzera. Mentre in Canada, Francia, Singapore, Svezia, Svizzera e Stati Uniti si registrano nuovi picchi storici per il debito delle società non finanziarie.

Il mondo galleggia su un oceano di debiti. Un oceano che tutti cercano di ignorare, fingendo che tutti questi debiti siano ancora esigibili. In realtà sono veri e propri Npl che prima o poi inabisseranno tutti e tutto, senza distinzione: paesi ricchi e poveri, aziende sane o fallimentari. Tutti saranno chiamati a pagare i costi di questo lieto e incauto incedere, anche se i vari Stati non dichiareranno default formale.

In Ue, Bce e Commissione Ue lanciano centinaia e centinaia di mld sul mercato, per lo più destinati a sostenere (acquistando bonds) l’incremento incontrollato dei debiti sovrani. Con l’Italia che in questi giorni lancia bond continui da decine e centinaia di mld sul mercato per arginare rinnovi, maggiori spese e minori entrate fiscali.
Finanziamenti che secondo l’autorevole governatore Visco non saranno mai a costo zero e che prima o poi saranno da rendere.
Si vaneggia sui recovery bonds o sul Mes, che saranno accessibili anche per una cifra complessiva di 500 mld. Cifra che, all’incirca, equivale al 30% del Pil nostrano.
Qualcuno a posto di mente è in grado di dire quando si potranno rendere? Tra mille anni forse, andando tutto a gonfie vele.
Pure il governo Conte garantisce finanziamenti immediati (che pochi hanno visto finora) a persone, famiglie e imprese per ben 400 mld, dimenticando che ciò, in caso di mancata restituzione, ricadrà sui conti del garante.
Come mette in bilancio decine e decine di miliardi per reddito di cittadinanza, reddito di emergenza o bonus vari per incentivare i consumi, spesso e volentieri per beni voluttuari come ad esempio i monopattini o le vacanze. Questo, infatti, è il costo da pagare per aver smantellato l’industria ed aver incrementato il terziario.

Il coronavirus non ha minato solo la salute di molti e creato decine di migliaia di morti, ma ha alterato la lucidità dei governanti, semmai l’abbiano avuta prima.
Si è passati in un attimo dall’austerità al monetarismo e all’assistenzialismo sfrenato.
Si è passati dall’assoluta mancata prevenzione (sacra, nella difesa dei diritti costituzionali, per alcuni ministri) alla restrizione totale degli stessi diritti costituzionali, con il lungo lockdown.
Sarebbe interessante chiedersi come mai in altri stati non si siano mai chiuse le scuole, oppure perché dopo poche settimane siano state riaperte. Mentre in Italia non esiste ancora alcun progetto definito per la riapertura di settembre.
Forse – è la Speme di Foscolo – il virus starà mutando e sarà sempre meno aggressivo grazie all’immunità naturale di gregge, rendendo inutili pure i vari vaccini, che non si sa quando potranno essere disponibili.
Forse l’economia e i mercati ripartiranno di slancio recuperando il tempo perduto e tornando ai livelli ante virus.
Forse assisteremo a un nuovo boom economico, come quello del dopoguerra, basato sul produrre per consumare e spendere. Che però ci ha portato alla situazione economica e finanziaria attuale.
Forse la globalizzazione sarà drasticamente ridimensionata, annullando la delocalizzazione che ha ridotto notevolmente gli assets industriali dei paesi occidentali.
Forse lo Pneuma, oltre al tempio del corpo umano (Bergoglio), prenderà casa anche nell’economia, smentendo il Papa stesso.
Sta di certo che i debiti fatti in questo periodo verranno prima o poi al pettine, alimentando la quinta crisi attuale mondiale; oppure generandone una sesta.
Perché, in sostanza, la storia insegna che le cinque crisi attuali si sono succedute in modo sempre più virulento, traendo la loro singola origine dalle precedenti. Sopite ma mai risolte.

Sam Cardell

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Lettera aperta a un sindaco di paese.

 

Oggi, venne in visita da me Sesac; e mi consegnò questo racconto che pubblico, come sempre, assai volentieri.
Tratta, come consuetudine, della vita degli animali della foresta e dei fatti di un tempo che fu. Ogni accostamento a fatti realmente avvenuti è puramente casuale.

Sam Cardell

Tratto da “i Dialoghi” di Sesac

Lettera aperta a un sindaco di paese.

La primavera era tornata inondando di fiori orti, campi e giardini. Pure la carnosa bergenia aveva già impreziosito coi suo grappoli rosa la piccola aiola della corte.
Un infido virus, venuto da lontano, serpeggiava dall’inverno per le vie sempre più deserte del borgo.
Lemme lemme s’era insediato anche tra i vecchi muri screpolati del centro storico, reso ancora più deserto non solo dalla penuria di abitanti, ma soprattutto dal timore del contagio.
Talora, durante la giornata, i lugubri rintocchi cadenzati delle campane a morto della pieve rompevano il silenzio che regnava ovunque, annunciando che qualcun altro se n’era andato.
Capitava, allora, che una finestra si aprisse e che un’altra, poco discosta e della casa vicina, facesse altrettanto, mostrando l’effigie di due stagionate timorose comari che, da lungi, si chiedevano vicendevolmente: chi el?
Per la verità il nuovo defunto era già stato sottratto ai suoi da tempo dai nuovi monatti, strappato agli affetti più cari all’insorgere della malattia. Portato spesso lontano in qualche lazzaretto che restava blindato a tutti. Messo intubato in terapia intensiva e in coma farmacologico in pratica era già come se fosse morto, considerato che da quei tristi luoghi di sofferenza dopo lunghi giorni di calvario erano più quelli che ne uscivano in una bara che quelli che si salvavano.
I parenti angosciati temevano che il telefono di casa squillasse per annunciare il tragico trapasso, sobbalzando al trillo più innocente, magari di qualche parente o amico che bramava ottenere una speranzosa notizia.
Solo dopo molti giorni dalla dipartita le ceneri del povero disgraziato, soprattutto anziano, venivano riconsegnate ai suoi cari in una piccola anonima urna, per essere subito tumulate nel cimitero del borgo senza alcuna cerimonia e pubblico saluto. Anche le pievi, infatti, erano state sigillate al culto.
Alcuni parenti di Leone se n’erano già iti, così come diversi conoscenti ed amici.
Pure l’Osvi – il dottore, come lo chiamavano tutti per via della sua professione – se n’era andato in silenzio, quasi alla chetichella. Grato a Dio per averlo tolto dalla Geenna e liberato da quelle spoglie mortali che lo avevano incatenato da tempo in un letto di dolore. Dipartito per patologie pregresse, avrebbero detto i cianciatori.
Tra i molti anche l’amico pittore lo aveva seguito, abbandonando in modo frettoloso e imprevisto pennelli e impasti, portando seco solo la folta barba selvaggia ormai incanutita dal tempo, oltre che dalla candida farina.

Leone da molto tempo stava seguendo l’evolversi del virus, da quando era comparso là, molto lontano, dove sorge il sole. Non si fidava, infatti, di quelli che lui chiamava con benevola ironia “i soliti idioti”, intenti più che altro ad occupare poltrone senza saper spesso, ahimè, nulla fare.
Così soleva dire. Forse perché nella sua vita ne aveva conosciuti troppi di questa ‘brava’ gente, fenomenali in ciance e carenti in opere. Non di piccolo cabotaggio, ovviamente.
Riteneva, considerato l’andazzo e l’andirivieni continuo senza alcuna prevenzione da quel luogo infetto, che il bubbone prima o poi sarebbe esploso pure da noi. Infatti, non ebbe torto.
Perciò, mentre il virus era ancora lontano, aveva provveduto a blindare la casa a tutti, compresi i parenti stretti, per proteggere non tanto sé, che non temeva affatto la morte, ma l’anziana centenaria Madame dal possibile contagio.
Pure Billyno aveva percepito la gravità della situazione e usciva malvolentieri; e solo brevemente nella corte.
Leone, inoltre, s’era studiato le varie patologie pandemiche e le possibili cure, perché riteneva che il miglior medico esistente è colui che sa curare perfettamente sé stesso.

Or avvenne che nel barbaro ma opulento Land di Ermengarda vi fosse l’urgente necessità di nuove strutture ricettive e alcuni amici lo contattarono per ottenere la sua disponibilità.
Leone rispose che non lo poteva fare materialmente, ma che da lungi, in smart-working gratuito, avrebbe potuto dare il suo contributo. Pretendeva solo la riservatezza assoluta, in quanto la mano sx non deve sapere cosa fa la sua dx. (Mt 6,3-4)
Così avvenne e la macchina organizzativa iniziò a progettare, senza fermarsi neppure quando uno dei soliti idioti disse che no, non si poteva fare perché non c’era il personale, facendo perdere settimane preziose.
Lavorò sodo, con un andirivieni telematico di dati che lo portò a consumare in traffico più di 100 Gbs in un solo mese.
Poco prima che tutto fosse finito, dopo aver provveduto a mettere in sicurezza Madame, fece pure con i colleghi del team un sopralluogo materiale per gli ultimi dettagli. Fu soddisfatto del lavoro svolto.

In quelle settimane, pur lavorando ugualmente, non era stato molto bene e l’intenso lavoro l’aveva prostrato. Si sentiva stanco e aveva, pure, trascurato molte delle sue cose, compreso l’orto. Perciò, con molta cautela, iniziò a lavorarci, potando alberi da frutto, togliendo l’erba che aveva invaso tutto e facendo le prime vangate.
Fu così che dopo averci lavorato un po’ e sentendosi stanco, decise ch’era l’ora, per quel giorno, di piantare il chiodo e di riposare.
Scese dall’orto e vide che nella cassetta della posta v’era il giornale. Togliendolo vi trovò pure un foglio con l’intestazione del comune, senza busta e ripiegato in tre parti, a lui direttamente intestato.
Guardò sommariamente e senza approfondire disse a Billyno che gli trottava accanto:
Sai chi sono questi Billyno? I furbi del villaggio di Asterix e Obelix. Vedremo di dare poi una risposta appropriata pure a loro.
Ecco l’inizio: Gentile Cittadino. Dimmi, Billyno, il sostantivo ti ricorda qualcosa?
Billyno alzò il suo bel musetto, sgranò meravigliato gli occhioni neri, drizzò le orecchie per l’intensità dello sforzo intellettivo e dopo alcuni istanti rispose sicuro: Marat, Danton e Robespierre!
Bravo, gli disse Leone, dandogli un buffetto sulle guance.

La missiva diceva testualmente:

Oggetto: Mancato ritiro della fornitura 2020 dei sacchi per l’immondizia

Gentile Cittadino,
da un controllo effettuato dai competenti Uffici comunali risulta cha la S.V. non ha ancora provveduto al ritiro della fornitura contingentata dei sacchi da utilizzare nel corrente anno per la raccolta dei rifiuti.

Nell’invitarLa a provvedere quanto prima al ritiro, Le ricordo che l’inosservanza delle norme inerenti la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti domestici e/o industriali integra un illecito amministrativo e, nei casi più gravi, anche la responsabilità penale.

Infine, Le chiedo cortesemente di specificare per iscritto, con comunicazione da inviare al sopra intestato Comune entro e non oltre 30 giorni dal ricevimento della presente, i motivi per i quali non ha ancora ritirato la fornitura in oggetto e le modalità con cui, nel frattempo, ha smaltito i rifiuti.

In mancanza di quanto sopra, l’Amministrazione Comunale sarà costretta, suo malgrado, ad aprire un’attività istruttoria per le verifiche del caso, con conseguente irrorazione di sanzioni qualora dovessero ravvisarsi irregolarità e/o violazioni delle vigenti norme in materia.

Certo della Sua collaborazione, porgo distinti saluti.

Il Sindaco

Leone aveva diverse cose molto più importanti da fare che dall’interessarsi delle baruffe ciosote. Perciò accantonò il foglio, tanto inutile quanto assurdo sia nella richiesta che nel contenuto.
Perché, in base alla comunicazione avuta, per l’Amministrazione era prioritario ritirare i sacchi contingentati della spazzatura che lo smaltimento corretto dei rifiuti. Quest’ultimo passava in secondo piano. Se avevi ritirato i sacchi tu eri già beato in … paradiso! E nessuno avrebbe avuto nulla da ridire.

Aveva sempre pensato che la politica fosse compartecipazione, perciò quella sinergia diretta tra cittadino e amministratore che fa funzionare bene la società.
Spesso, invece, accadeva che gli amministratori intendessero per democrazia il suffragio elettivo diretto, dimenticando poi tutto il resto. Amministrando spesso con grida manzoniane, come se comandassero un popolo beota di zulù.
L’istruire il cittadino e l’essere istruito da questo, in modo vicendevole per comprendere perfettamente istanze e necessità della macchina amministrativa e farla funzionare al meglio, non era nelle priorità dell’amministratore, intento per lo più a seguire il suo istinto di capobranco, che tutto può e che tutto vuole.
Perché l’amministrare, nei secoli, era diventato via via un modo non di servire la comunità, ma di praticare il potere. Questo era bramato pure dai cattolici, che si incensavano da sé con la frase sia di Paolo VI che del Vaticano Secondo, per i quali la politica è l’atto più nobile della carità cristiana (Apostolicam actuositatem). Carità solo, però, se ben … retribuita!
Considerato ciò, pensò che una semplice risposta non sarebbe servita a dare un segnale forte di discontinuità operativa. Ci voleva qualcosa di dettagliato e di prorompente, capace di scuotere la fallace sicurezza dell’amministratore; un j’accuse informale che lo facesse riflettere. Possibilmente farcito con alcuni inserti subliminali.

Dopo diversi giorni riprese il foglio in mano, si armò di carta e penna e così scrisse.

Gentile Sindaco di questo paese,
Lei conoscerà sicuramente il detto primum vivere, deinde philosophari, sia nel suo intrinseco significato letterale che in quello lato. Che sarebbe: visti i fatti, ragioniamoci sopra.
Premetto che non la conosco e che, se mi capitasse di incontrarla, non saprei neppure chi lei sia. Credo – presumibilmente, anche se non ne sono certo – che la stessa cosa possa valere per lei nei miei riguardi. Ne consegue che possiamo essere considerati dei ‘numeri’ di un’organizzazione sociale.
So di occuparle in questa lettura del tempo prezioso; pur se, è bene specificare, che pure io ne ho già impegnato nel leggere la sua missiva e nel redigere, civicamente, questa risposta. Che, spero, le sia completa ed esaustiva, risolutiva a ogni suo quesito.
L’occasione mi è favorevole sia per risalire in cattedra ancora una volta, sia per riprendere carta, penna e calamaio in mano, sia per scrivere un nuovo articolo pubblico sulla questione. Quindi è molto probabile che, quando lei leggerà queste righe, molte persone ne siano già a conoscenza; perché l’invio di questa lettera tramite Pec – per cui dovrà essere protocollata e restare agli atti – sarà contestuale alla pubblicazione dell’articolo stesso.

A essere sincero la sua missiva mi ha un po’ meravigliato, non tanto per la motivazione che l’ha generata, ma per il modo – corretto nella forma, ma vessatorio e intimidatorio nel contenuto – con cui è stata redatta. Almeno l’ho intesa, da analista e da cittadino, così.
Ovviamente, al suo posto, mi sarei ben guardato di inviare un tal testo sulla problematica in oggetto, con tal esposizione più adatta a un podestà che a un sindaco. Non perché i podestà abbiano avuto un ruolo negativo, ma perché prodotti da una forma di potere discutibile, dove dietro il formale amministrare spesso era celata la protervia e la iattanza del potere. Non a caso tale lemma è l’esatto anagramma di un altro sostantivo, più antico e dal quale deriva, non molto rassicurante.
Purtroppo talora, come si sa, la politica è un’ecolalia ridondante del passato.
Non l’ha redatta lei, ma un solerte impiegato? Tutto è possibile, anche se il solo firmarla equivale a farla propria.

Vede, la sua adespota missiva (firmata, con intestazione comunale e senza data, in foglio ripiegato in tre parti, senza busta e quindi alla mercé di qualsiasi eventuale curioso pur se personale) l’avrei potuta benissimo cestinare e ignorare senza alcuna conseguenza, per il semplice motivo che, pur se eventualmente da voi protocollata, visto il contenuto e le richieste (impositive) fattemi non mi è stata fatta pervenire né tramite R/R o Pec, né dal messo comunale che ne abbia raccolta la firma di avvenuta consegna.
In sostanza il suo essere ‘carta straccia’ è nobilitata dallo scrivente, che dichiara civilmente e cortesemente di averla vista, di averla letta e di darne risposta.
Premesso tutto ciò, passiamo al contenuto.

Essendo magnanimo (eufemismo) le dirò che il suo invito (categorico e imperativo) a specificare per iscritto entro e non oltre 30 giorni (sintatticamente: basta ‘non oltre’) le modalità, da me praticate, di smaltimento rifiuti, lo voglio considerare benevolmente come un sondaggio a campione per eventualmente praticare migliorie o consigli agli utenti sulla raccolta differenziata.
Aggiungo, inoltre, che non ho ritirato la fornitura contingentata per il semplice fatto che non faccio il collezionista dei sacchi della spazzatura, avendone ancora parecchi di riserva degli anni scorsi. Come non li devo immagazzinare per poi rivenderli. Sono, infatti, solito acquistare e procurarmi solo ciò che mi serve.
E, vedendo gli altri sacchi nel punto di raccolta in piazza, mi pare proprio che siano perfettamente uguali a quelli dello scorso anno e che sto utilizzando. Accetto, in proposito, sue correzioni di merito se in errore.
Perciò, considerato che vivo da solo con una centenaria, ben si capisce che usando (non riempiendo) un sacchetto il mese ne ho a iosa per non so quanto tempo. In compenso pago centinaia di euro per conferire meno di mezzo quintale di differenziata l’anno. Per la serie: quanto costa al quintale la spazzatura?
Inoltre se è obbligatorio conferire i rifiuti in appositi e specifici sacchi o contenitori – come da regolamento – non mi consta che, avendone in abbondanza di scorta, sia obbligatorio ritirarne di nuovi se gli stessi sono identici a quelli dell’anno prima. Per che farne? Semplice: inserire i rotoli in eccesso in un apposito sacco della spazzatura!
Però, al giorno d’oggi e visto l’andazzo politico, non mi meraviglierei affatto se questo vostro comune avesse deliberato sui sacchetti anche in tal senso. Oppure se ogni anno, sempre con apposita delibera, si decidesse che i sacchi precedenti non siano più validi all’uso.
Ne consegue che, con assai meno sicumera, bastava dire che è tassativamente obbligatorio ritirarli per non infrangere la legge. Oppure che i sacchi sono stati cambiati con delibera e che gli altri non sono più validi.
Dopotutto siamo in un mondo consumistico, dove il produrre è commisurato non alle necessità, ma assai spesso solo e unicamente al business, perciò al produrre per guadagnare e spendere. E ciò vale anche per tutte quelle miriadi di compartecipate pubbliche che più che dare un servizio specifico sono diventate – puta caso – uno stipendificio, dove piazzare di norma gli amici degli amici, preferibilmente a livello dirigenziale. Così va il mondo, caro sindaco.
E non importa neppure se queste aziende diventano poi dei pozzi di San Patrizio, capaci di ingoiare per il loro mantenimento cifre mostruose e spaventose dai bilanci dei comuni e, con conseguenza diretta, dalle tasche dei cittadini.

Relativamente allo smaltimento rifiuti da me praticato, elucubrerò su ogni aspetto dei singoli rifiuti.

Rifiuti corporali.

Una volta vi era il cesso nella corte (lei forse no, ma se chiede ai suoi genitori e nonni lo sapranno) dove si facevano i propri bisogni corporali e dove il mattino si conferiva ciò che nella notte, per comodità, era stato messo nel pitale. Il cesso aveva una fossa detta pozzo nero, maleodorante specie in estate, che di solito in primavera era svuotata. I liquami da lì prelevati, preferibilmente in giornata piovosa, erano conferiti come letame o negli orti o nei campi. Non c’erano, infatti, le condotte fognarie oggi esistenti.
Oggi ogni abitazione è dotata di bagno e di acqua corrente. Ne consegue che i rifiuti corporali si depositino nel water e che poi, tramite lo sciacquone, siano riversati nella fossa biologica – dove esistente – oppure direttamente nelle condotte fognarie.
La mia abitazione già da molti decenni è dotata di servizi igienici e di fossa biologica. Il tutto collegato alla rete fognaria pubblica.

Diverso è il discorso se si è fuori a praticare sport o tempo libero.
In passato – prima della malattia e alla doverosa assistenza alla centenaria – ho praticato, oltre ad altro, per decenni l’alpinismo ad alti livelli, sia sulle Alpi sia extra. E pure allora, se era necessario effettuare il proprio bisognino, ebbi la massima cura di allontanarmi dal sentiero, o via battuta, e di riversare in luogo idoneo e appartato. Indi coprivo con terriccio, con sassi o con neve i miei bisogni.
Non solo: avendo guidato spesso dei gruppi avevo cura, sempre, di raccomandare a tutti di fare altrettanto, se notavo che ciò non avveniva.

Frazione umida.

Da decenni coltivo nel tempo libero l’orto; ne consegue che tutte le frattaglie e gli scarti siano posti in una ciotola e ogni giorno portati nell’orto dietro casa in apposita buca per farne humus.
Ho pure cura di risciacquare ogni volta la ciotola.

Frazione secca.

È depositata in un secchio e quando ve n’è sufficienza per farne un sacchetto si versa nell’apposito sacco che, dopo essere stato chiuso, è posto nella convenzionale area pubblica destinata alla raccolta.
Come già accennato ciò avviene circa una volta il mese.

Carta e cartone.

Ogni giorno mi giunge per posta il giornale e periodicamente alcune riviste. Come pure si è inondati da vario materiale pubblicitario che non guardo neppure mai.
Vi sono pure i tetrapak per alimenti, che dopo averli debitamente risciacquati e scolati ho il vezzo di comprimere e di riporre in apposita cassetta.
Molto saltuariamente, quando la cassetta è piena e nel giorno stabilito, la deposito in fondo alla stradina privata di accesso alla mia proprietà, dove gli incaricati la raccolgono.
Ho pure cura di non metterla in caso di pioggia, per non farla infradiciare.

Vetro e lattine.

I vasetti e le bottiglie per alimenti li pongo – sempre dopo averli ben risciacquati e scolati – in un secchio in plastica da 30 l.
La stessa cosa faccio per le lattine degli alimenti, che, pulite e asciutte, sono sistemate in un altro secchio.
Quando uno dei secchi ne contiene una certa quantità si pone, nel giorno stabilito, sulla mia proprietà nello stesso posto dove in altri giorni si deposita pure la carta.

Plastica.

Analogo è il discorso per la plastica, sia questa derivante da contenitori di alimenti o di imballaggi vari. Sempre pulita è accantonata; infine riposta nell’apposito sacco solo il giorno del programmato ritiro. Sempre compressa per evitare inutili volumi per il trasporto.

Materiale ingombrante.

In tutti questi anni mi è capitato di dover smaltire solo due volte del materiale ingombrante, che dopo aver caricato in auto ho portato alla piazzola ecologica comunale; e depositato perfettamente dove gli addetti mi hanno indicato.
Erano: un piccolo elettrodomestico e un materasso usurato.

 

Lei si potrebbe chiedere perché mai abbia cura di pulire ogni oggetto da conferire nella differenziata prima di riporlo.
Le risponderò pure su questo: per doveroso senso civico. Per non generare batteri e, come minima conseguenza diretta, sgradevoli maleodoranze sia nel cortile coperto dove ho cura di riporli prima di conferirli, sia durante il trasporto e l’accatastamento ante distruzione o riciclaggio.

Affronto ora la mia considerazione personale sull’ultimo suo ‘sibillino’ paragrafo.
Vede, io ritengo che lei possa fare tutto quello che ritiene opportuno per verificare la veridicità di quanto ho dichiarato, sia facendomi visita di persona, sia mandando dei suoi incaricati.
Perché, in sostanza, il cittadino che si sente perfettamente e civicamente ligio alle regole civili, più che ai freddi regolamenti, non ha nulla da temere da eventuali controlli. Gli fanno, semplicemente, un baffo!
Semmai ha tutto da guadagnare e magari qualcosa pure da … insegnare.
Per paradosso specifico che non mi aspetto per questo una medaglia o d’essere per ciò nominato Cavaliere o Commendatore della Repubblica. Sono allergico alle onorificenze e, quando mi furono assegnate, le ho sempre rispedite al mittente; non solo in patria.
Mi basta e avanza essere in pace con la mia coscienza e con l’essere cittadino non di questo ‘suo’ paese, ma apolide del mondo. Infatti, pur avendo sempre mantenuto la stessa residenza, per il maggior tempo della mia esistenza sono stato per lo più altrove.
La mia casa, pur nella sua modestia, è sempre stata aperta a tutti quelli che per varie ragioni l’hanno voluta visitare: sia per fare quattro chiacchiere, sia per avere delle informazioni, sia per chiedere un parere, sia per ottenere, eventualmente, qualche aiuto. È aperta anche a tutte le possibili ispezioni di questo mondo, nel rispetto della legge in materia.

Mi permetta, infine, un piccolo quesito sulle sue attività istruttorie. Ben più importante, a mio parere, dell’indagare sul mancato ritiro dei sacchi dell’immondizia.
Ne ha poi aperta una sul pasticciaccio Imu per verificare chi ne siano i responsabili? Perché, pur tralasciando il riferimento agli innumerevoli casi che si sono verificati in questo comune, la mia famiglia è stata invitata con tanto di penale, interessi e sopratassa a versare ciò che già da molto aveva correttamente e nei termini di legge versato.
Pure allora, gentile Sindaco, dovetti recuperare dall’archivio elettronico le quietanze degli F24 incriminati, indi recarmi in comune per sentirmi dire dalla responsabile, dopo oltre due ore di paziente fila, che sì, a lei risultava tutto perfettamente e puntualmente pagato. Che poi mi sarebbe giunta una comunicazione relativa alla cancellazione della somma erroneamente richiesta. Comunicazione finora mai pervenuta.
Sa, non vorrei che tra altri anni ce ne giungesse un’altra sempre relativa allo stesso caso, con somme e penali aggiuntive. Se, nel frattempo, non sarò già passato a miglior vita.
Vede, chi ha sbagliato è stato sicuramente retribuito. Il cittadino è stato solo … mazziato e … demonizzato.
Ma così va il mondo. Nella pubblica amministrazione il colpevole è spesso sconosciuto e, come in questo caso specifico, è stato individuato nel ‘sistema informatico’. Che, è bene precisare, non emette nuove cartelle esattoriali se qualcuno non gli dà l’apposito comando; anche perché è una macchina con intelligenza artificiale alla quale risulta e risultava che l’imposta era stata perfettamente evasa. Non ha vuoti amnesici!
Il tutto detto da chi ha iniziato ad usare i sistemi informatici già negli anni settanta frequentando il Politecnico.
La tempistica sulla questione, pur entro i canonici cinque anni massimi prescritti dalla legge (N.d.R.: come saprà K. Habsburg definì la legge umana il frutto dell’incapacità e dell’imbecillità umana nell’agire) mi lascia basito, considerato che il Comune non naviga nell’oro.
Ne consegue che gli opportuni controlli si sarebbero dovuti espletare molto prima. Come pure, se l’errore di calcolo è stato fatto o da un professionista o dal comune stesso, non è ammissibile che dopo anni sia richiesto in conguaglio al cittadino che ha versato quanto richiestogli. Sarebbe come a dire che, acquistato un prodotto, dopo cinque anni il venditore richiede un supplemento, perché ha sbagliato a conteggiare … il prezzo. Non so se ha ben compreso la sequenza logica del philosophari nei sillogismi.

Potrei aggiungere molte altre cose; ma non voglio abusare del suo prezioso tempo d’amministratore, pur se retribuito dal cittadino. Diciamo che ha ben altro da fare che leggere le mie considerazioni e precisazioni.
Chiudo, pertanto, salutandola cordialmente.
Nella speranza di non averle causato una diaclasi … interiore.

Leone firmò la lettera e dopo averla convertita in Pdf la spedì per via telematica.

Sesac 

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Dio è morto?

 In morte di Mauro Tesi

        Dio è morto?

Sta la verde bergenia al sol,
che primavera annunzia con tepido calor,
mostrando fiera di San Giuseppe il fior
e nobilitando la corte con bocciol rosa.

Tristo s’en sta il deserto borgo.
Una sdentata vecchia or ora sola s’en va
tra le strette viuzze con il logoro mantel,
becero e nero di fumante pece zuppo.

Invisibil va, qual certo tristo ladro,
trainando seco con sordido roco rumor
la falce adunca sull’acciottolato scuro,
lorda di fetido sangue nero e grumo.

La gente chiusa in casa sta
di timor pervasa per la moderna peste,
che ai suoi cari strappa specie l’anzian,
che sol s’en muore senza conforto alcuno.

Neppur la salma rende ai suoi,
per la degna pietà di sepoltura giusta.
Druido non c’è che benedizion e prece dia,
ma sol il freddo duro legn racchiude il tristo.

Sull’uscio, al sol, il villan sta.
Mira afflitto e mesto la corte ben sbarrata.
Alcun lamento gli esce dall’amara bocca,
perché il petto pervaso dal dolor s’è chiuso.

Infine il guardo volge al ciel
e nel silenzio cupo dentro sé impreca:
Dio, che fai lassù; forse ciò non vedi?
Lasci tutti morir? Forse pur tu sei morto?

 

               Sam Cardell

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Il dito nella piaga.

 

Il dito nella piaga.

Gli eventi di questi giorni m’inducono a una riflessione, che voglio esplicare in due modalità: politica ed economica.

Politica

Il Governo, a mio parere, di là dai giornalieri proclami ha sempre brancolato e brancola ancora nel buio.
Grazie alla sua ignavia operativa ha portato la nazione a essere impreparata e in ritardo rispetto agli eventi che rapidi si sono susseguiti in seguito al diffondersi del coronavirus. Stiamo assistendo a una tragedia.
Tutte le alte cariche dello Stato si premurano di affermare continuamente, fino alla noia, che il Sistema Italia sta facendo scuola nel mondo. Ciò è però falso: è il Sistema Cina che ha fatto e fa scuola, considerato che questo governo l’ha adottato e copiato dopo tante indecisioni e tergiversazioni con notevole ritardo. E pure molto male, in modo sommario e a pezzi.
Dire che tutte le nazioni e l’OMS lodino il nostro operato è vero nella mediaticità formale delle dichiarazioni, ma falso nella sostanza. C’è forse qualcuno che pensa che tutti costoro possano affermare, sic et simpliciter, che siamo stati “imbecilli”, considerato che bene o male tutti stanno subendo la stessa fine?

Il preventivo controllo sul traffico aereo internazionale in pratica non è mai esistito; ed è stato adottato solo dopo che il contagio si stava diffondendo in modo preoccupante nel lodigiano. Perciò a frittata già fatta.
Il blocco della mobilità (trasporti) e la restrizione delle libertà individuali si è fatto solo parzialmente dopo molti tentennamenti, quando ormai il coronavirus stava decimando la Lombardia e il Nord, nonostante i continui solleciti dei governatori. Senza parlare poi della chiusura delle scuole e delle attività commerciali non indispensabili alle necessità primarie.
Emblematica di tutto ciò e l’Ordinanza Regionale odierna di Zaia, costretto a intervenire in Veneto per tamponare un Dpcm non ancora emesso, nonostante la gravità della situazione.

La Sanità ha fatto e sta facendo miracoli, riconvertendo interi reparti e adibendo molte sale operatorie come sale di terapia intensiva o di rianimazione. Ammirevole in ciò è stato il Papa Giovanni XXIII di Bergamo, che in pratica ha retto l’onda imponente dei contagi con una rapida e drastica riconversione d’interi reparti e aumentando ovunque, dove possibile, i posti letto. Affiancato in ciò dagli altri ospedali satelliti del circondario, sia pubblici sia privati.
Sempre più insistenti e pressanti sono diventate le richieste di aiuto sia degli ospedali che delle Asl per scongiurare il collasso totale. Quasi ignorate dalle decisioni governative.
La creazione veloce di ospedali aggiuntivi, compresi gli ospedali da campo, comincia a delinearsi solo ora, più per volontà delle amministrazioni regionali e locali che per decisione governativa. Ciò avviene solo dopo 40.000 contagi e 4.000 morti.
In quasi un mese l’Italia ha conquistato a fronte di 60 mln di abitanti il record, quando in Cina con 1,38 mld se ne sono avuti meno; e noi siamo solo all’inizio.

A contraltare di tutto ciò abbiamo la quotidiana conferenza stampa della Protezione Civile sul coronavirus, intenta a snocciolare dati su contagiati, guariti e morti, che lascia il tempo che trova pure negli stessi numeri.
Per rendersene conto della veridicità basta osservare le pagine dei necrologi sui giornali locali e gli annunci funebri affissi nei vari comuni, per capire che i dati snocciolati sono molto, molto parziali, se non la metà dei casi reali.

Economica

I continui decreti in materia del Governo, quasi giornalieri, sono il termometro della situazione. Sono sempre fatti con molto ritardo e sommari. Ciò significa che le idee sono carenti e che i vari ministeri sono impreparati e spiazzati da una simile situazione.
Gualtieri ha tanto decantato con tanta lungimiranza (?) la “sua” manovra economica e il risparmio che si sarebbe avuto sullo spread, da ritrovarselo poi sui 350 punti. E buon per noi che la Bce è intervenuta massicciamente con 750 mld a placare per ora le acque.
Eppure, quando il Def fu redatto e approvato, le avvisaglie di recessione erano già palesi e sottolineate dai mercati. Come pure era già evidente le gravità dei contagi in Cina.
La correzione della manovra economica per l’emergenza virus può essere considerata sufficiente se tesa a tamponare una situazione immediata, non certo per fronteggiare una crisi e una recessione che potrà essere probabilmente superiore e offuscare quella del 2008, non solo in Italia, ma in tutta l’Ue e nel mondo.
Parlare di una riduzione del Pil di un paio di decimali, quando sarà negativa, come minimo tra il -5/10%, significa solo non capire nulla.
Questo governo pare che speri nel Mes, nella dilatazione a oltranza del Debito, nella politica monetaria della Bce, nella benevolenza dello spread (perciò dei sottoscrittori, che dovrebbero finanziare a tassi negativi), nella possibilità che il coronavirus si dissolva quasi d’incanto, come un brutto sogno, proprio mentre l’OMS afferma che durerà almeno due anni con probabile riacutizzazione autunnale.

L’Ue sarà tutta in recessione. Lo prova il fatto che, a fronte dei 25 mld stanziati dal governo Conte, la Germania ne abbia già messi in cantiere 550.
La diversità delle cifre in gioco e l’imponenza delle previsioni teutoniche delineano uno scenario nero: sia sociale per l’impatto del virus, sia economico per una sicura e feroce recessione.
Considerata quasi certa l’abolizione del Patto di stabilità con il vincolo del 3%, la domanda semplice è: l’Italia intende forse portare il Debito sovrano a 3.000 mld a breve per reggere la crisi in arrivo? L’Ue le farà tanta “beneficenza” e a quali condizioni? L’Ue, che finora a parole si è detta benevola, esisterà ancora o si disgregherà facilmente sotto i colpi inesorabili della crisi?

I mercati in un mese circa hanno dimezzato ovunque la propria capitalizzazione; ma dopo alcuni tentativi di rimbalzo scenderanno ancora, nonostante la politica espansiva (più correttamente: difensiva) della Bce.
Perché è ovvio che una tale manovra o è molto temporanea, oppure con l’imponente e continua immissione di liquidità creerà una grande inflazione/svalutazione e la morte di molte aziende, con una conseguente successiva impennata dei prezzi.
Per ora questo governo, a contraltare, ha concesso un altro prestito (donazione) ad Alitalia di 600 mln. Ad una società cotta e decotta che già da almeno un decennio doveva essere lasciata fallire o liquidata. Proprio nel momento in cui il trasporto aereo sta crollando ovunque e solide e sane società del settore rischiano la bancarotta.
In Italia si è distrutta, con la scusa dell’Ue, buona parte dell’industria, con la giustificazione che bisognava puntare sul terziario, forza emergente del futuro.
Da paese industriale manifatturiero siamo diventati un paese fondato sull’effimero del contingente. Perché tanti prodotti conveniva importarli dall’estero, in quanto là costavano molto meno. Pure il coronavirus, infatti, l’abbiamo avuto a … costo zero!
Domanda semplice: in un mese dov’è finito il turismo e l’alberghiero e quanto tempo (anni) ci vorrà prima che si riprendano? Oppure negli alberghi, dopo averci messo (a nostre spese) i migranti, ora ci metteremo i malati, trasformandoli in una miriade di lazzaretti? Qualcuno crede ancora che la gente, a epidemia finita, riprenda a scorrazzare allegramente come prima per il mondo?
Quanto resisterà il sistema Italia?
Ai posteri l’ardua sentenza.

Sam Cardell

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Viaggiando tra le pieghe del coronavirus.

 

Viaggiando tra le pieghe del coronavirus.

 ovvero:

Il malvezzo di inseguire i buoi fuggiti dalla stalla.

 

Poco prima che il coronavirus si manifestasse anche in Italia, ebbi in casa la visita di tre cattedratici, che mi onorarono di fermarsi anche a pranzo.
Si discusse di molte cose fino a sera. Uno degli argomenti trattati fu la possibilità che il coronavirus esplodesse anche da noi.
Gli amici furono abbastanza ottimisti; io sostenni che il primo caso era dietro l’angolo e che poi, in breve, la situazione sarebbe esplosa come in Cina. E addussi tre ragioni: a) l’incapacità dei politici a gestire e prevedere certe situazioni; b) i mancati controlli di prevenzione sul traffico internazionale delle persone; c) la fallace interpretazione e la presunzione che per dirigere uno stato basti avere conseguito un pezzo di carta.
Oggi, infatti, e non solo a livello politico, c’è troppa sicumera nel buttarsi in politica e ad assumere certe cariche. Molti politici oggi paiono o delle macchiette trasandate uscite da un quadro di Vincent van Gogh o degli impeccabili figurini strapazza femmine. E con queste persone non si va molto lontani.

In passato, per lavoro, ebbi la possibilità di incontrare in varie parti del mondo molti politici di elevato livello; e spesso, incontrandoli e vedendo la loro pochezza umana e culturale, mi sono chiesto: ma costoro come hanno fatto ad arrivare fin qui?

L’Italia in circa tre settimane ha raggiunto e superato di slancio i quindicimila contagi, con circa mille morti.
In compenso vi sono politici che affermano che noi stiamo facendo scuola nel mondo. Quale scuola? Forse quella della demenza operativa e dell’assoluta carenza preventiva?
Il tutto secondo il detto sapienziale antico: chi si loda si imbroda.
Eppure alcune voci, comprese quelle di alcuni governatori, s’erano levate in anticipo perché si provvedesse a mettere in quarantena preventiva chi arrivasse da zone (molto) infette. Ne sortì che costoro furono tacciati di razzismo sia sui media che da diversi esponenti politici.
Un ministro, manifestando la sua assoluta contrarietà a ciò, giunse addirittura a tirare in ballo i diritti costituzionali. Onestamente direi: quelli della sua insipienza culturale, nonostante il ruolo ricoperto, e della sua assoluta ignoranza operativa. Perché la domanda semplice è: dove sono finiti ora gli stessi diritti costituzionali? Lo diciamo ai morti, privati pure del funerale?
Devo sottolineare che per nostra fortuna abbiamo però una sanità efficiente e preparata, anche se non potrà reggere molto a lungo una mole così imponente di lavoro.

Analizzando i fatti si ha che i provvedimenti presi cambiano di giorno in giorno. In pratica il Governo cerca di inseguire i buoi fuggiti dalla stalla da molto tempo.
La scuola? Prima non si può chiudere (ah, quei diritti costituzionali!), poi si chiude in alcune regioni, poi si proroga la chiusura, poi si polemizza con alcuni governatori che emettono decreto di chiusura nella regione di loro competenza, poi le si chiudono ovunque per due settimane e, infine, due giorni dopo le si chiudono per un mese. Salvo precisare subito dopo che … poi si vedrà.
Lo stesso ragionamento vale per le zone rosse, per le attività commerciali, per i trasporti e chi più ne ha più ne metta. Infine per le libertà personali.
E non è molto confortevole che nelle altre nazioni Ue stia avvenendo la stessa identica cosa.

L’economia è una questione quasi dimenticata, riscoperta marginalmente dal Governo all’ultimo istante.
Prima si stanziano 3,5 mld, poi 7, poi forse 10, forse ne serviranno 15, ora se ne stabiliscono 25. Basteranno?
Il Pil scenderà di qualche decimale nel primo trimestre. Si afferma! Decimali? Molto ottimisti i nostri governanti.
La Borsa in tre settimane ha perso la metà di capitalizzazione, ma al Governo non se ne preoccupano. Almeno finora. Oggi ha perso quasi il 18%.
Forse qualcuno al Governo ha considerato l’idea di chiudere la Borsa sine die per salvaguardare la capitalizzazione delle aziende e delle banche, oltre che i risparmi dei cittadini? Qualcuno dei nostri sapienti e ultra preparati ministri non ha mai saputo che quando vi sono simili sconquassi ciò avviene per le (immorali) vendite allo scoperto che affossano i listini e che da decenni avrebbero già dovute essere messe fuori legge?
Questo è un mondo particolare: quello della globalizzazione, della Via della seta e di tutte le castronerie varie di cui i politici odierni si ammantano e si vantano. Indifferenti al fatto che l’economia di una nazione venga via via prostrata e distrutta.
Perché è ovvio che tutto ciò va a profitto di tutte quelle multinazionali finanziarie a cui è tutto concesso e che, con solerte efficienza, spesso finanziano gli avvenenti politici, più o meno idioti, scelti appunto perché facilmente malleabili ai loro progetti. Multinazionali che, bontà loro, possono permettersi il lusso di buttare (legalmente) sul mercato milioni di azioni in un solo secondo, magari senza possederne una.

In Cina, quando la situazione ha cominciato a degenerare, hanno sollevato immediatamente dal loro incarico tutti i funzionari e i politici locali che s’erano dimostrati inefficienti e incapaci di gestire la situazione.
Da noi (Italia e Ue) il popolo sopporta che costoro s’ergano sul piedistallo quali salvatori della patria, per di più blindati dalla Presidenza della Repubblica. Perché, come si sa, il popolo bue non solo è sempre mazziato, ma pure cornuto.

Chi pagherà i danni di questo sconquasso sociale e economico? Mattarella, Von der Leyen, Conte e i vari ministri? No, il popolo! Che ora è blandito con l’elemosina (non si sa ancora quanto e per quanto) di un sussidio provvisorio per l’impossibilità di lavorare e produrre.
Che oltre a subire malattia e lutti si sente ogni giorno dire che comunque i morti avevano tutti patologie pregresse. Ciò sarà pur vero, anche se è ovvio che con la necessaria e dovuta prevenzione ciò si sarebbe evitato e che oggi sarebbero ancora vivi e vegeti.
I danni saranno incalcolabili e noi ci ritroveremo sul groppone la dilatazione del Debito sovrano, la necessaria ricapitalizzazione delle banche e delle aziende, un’economia dilaniata da una crisi maggiore di quella del 2008 e da cui non ci siamo ancora ripresi. Ciò porterà altra disoccupazione e ulteriori tasse.

L’influenza stagionale, stando alle statistiche, secondo l’Istat produce 250/300 morti in media a settimana tra gli anziani soggetti a patologie varie.
Il coronavirus in effetti è molto più blando, ma secondo l’Oms – che lo ha dichiarato ieri pandemia – contagerà il 60% della popolazione mondiale entro due anni. E la sua diffusione è rapida e catastrofica per la vita sociale e per l’economia, come già in Cina ha ampiamente dimostrato.
Ora il problema è quello di arginarlo, non solo in Italia, ma in tutto il mondo.
In Ue che succede? Ci si lamenta perché Trump ha chiuso ai collegamenti aerei con l’Europa per salvaguardare gli Usa. Sempre che non sia già troppo tardi. Come già molte altre nazioni han fatto con l’Italia.
Forse avrebbe dovuto aspettare d’essere nella stessa situazione della Cina e dell’Italia per correre ai ripari.
Tiremm innanz, disse Amatore Sciesa mentre veniva portato al patibolo. Credo che ciò sia ora la sola speranza del popolo. Anche se è bene sottolineare che molti non hanno ancora compreso nulla di ciò che sta succedendo. Politici compresi.

Sam Cardell

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Salvo intese … ed estreme divergenze.

 

Salvo intese … ed estreme divergenze.

Nel produrre il Def per la nuova legge finanziaria il Governo ha introdotto una nuova formula: Salvo intese. Che, in sostanza, significa: abbiamo delle idee, ma non abbiamo ancora trovato un’intesa.
La Commissione Ue, che ha visto (eufemismo) di buon occhio la nascita di questo governo, per bocca di Dombrovskis afferma che per ora non ha nulla da obbiettare; ma che, comunque, monitorerà costantemente l’evoluzione dei conti italiani.
Gentiloni, da par suo e pur essendo il suo dicastero, per ora tace; anche perché laggiù, si sa, ci sta a far numero e non per governare. In Ue, al suo posto, il Pd avrebbe fatto bene a inviarci Delrio, a cui Ursula, per le affinità elettiva di Goethe, avrebbe affidato il dicastero della politica demografica. Insieme, entrambi, in ciò farebbero faville.
Conte, dal canto suo, declama il mantra che le opposizioni continuano a dire bugie sul fatto che il suo governo corrisponda al governo delle tasse e dei balzelli. Infatti, come si può dargli torto se finora non ha ancora prodotto uno straccio di legge finanziaria, ma solo delle bozze che il giorno dopo sono stracciate?

Paul Joseph Goebbels, abile stratega della propaganda nazista, affermava che la politica è l’arte plastica di governare uno stato e che per attrarre consenso è sempre meglio dire una mezza verità piuttosto che una bugia.
Sicché, per far quadrare i conti si sfornano diverse ipotesi (mezze verità): nuova Imu sulla casa, tassa sulla plastica, tassa sulle auto aziendali, rimodulazione quota 100 e via dicendo; senza parlare del pasticcio Ilva, che potrebbe interessare la finanziaria sia nel caso si nazionalizzasse, sia se si entrasse nel capitale sociale, sia contribuendo magari al risanamento. Ovviamente son tutte idee che però – e il però è estremamente importante – dovranno trovare una maggioranza in Parlamento che le approvi. Perciò oggi si dice, domani si varia e magari dopodomani si annulla. Una politica più plastica di così direi proprio che non esiste.
Siccome, però, nessuna delle quattro forze che sostengono il governo vuole assumersi la paternità di provvedimenti impopolari è ovvio che si proponga l’eventuale entrata in vigore di tali nuove imposte a metà 2020, quando in Emilia e in Toscana si sarà già votato. Perché, qualora vi sia un nuovo tracollo, allora è probabile che questo governo si dissolva e la patata bollente sia passata ad altri.
Pure Mattarella, allora, nonostante la sua buona volontà ed appartenenza politica d’origine, sarebbe costretto a prenderne atto.

Chi ora osserva bene i lineamenti della faccia di Conte vi vede un uomo stanco, sfiduciato, braccato e che si sente politicamente finito. Uno insomma, che non sa neppur più dove sbattere la testa. Ben lontano dallo spavaldo capitan Fracassa che, col tacito sostegno e probabile assenso del Quirinale, riversava un paio di mesi fa sul malcapitato reo professo Salvini un diluvio di accuse capitali in Senato.
Quando un premier convoca un Consiglio dei Ministri inviando una lettera ad ogni ministro perché si presenti al Consiglio con un progetto su Taranto, significa solo che il governo non ha in materia alcun piano e che, davanti a qualsiasi problema, improvvisa solo. Come pure rinviando alla settimana dopo il Consiglio stesso in precedenza convocato.

La storia dell’Ilva è molto lunga. Da quando lo Stato, con una propria azienda (Italsider), decide nel 1961 di costruire a Taranto il maggior complesso industriale siderurgico dell’Europa, nonostante che degli esperti affermino che fare acciaio in riva al mare non è proprio il massimo. Certo, c’è un porto, ma si è pure in mezzo a una città.
I vari cambi di nome e di assetti azionari mostrano un dinosauro in grado di sopravvivere solo operando in perdita, perciò continuamente rifinanziato dallo Stato. Finché prima con Dini e poi con Prodi è privatizzata e ceduta (1995) alla famiglia Riva per 2.500 mld di Lire, nonostante la valutazione complessiva sia di 4.000 mld. Ma, come si sa, l’illustre Prodi era famoso a svendere più che a vendere.
I procedimenti giudiziari (2012), sulle morti per tumore per inquinamento, portano al commissariamento della fabbrica e gradualmente all’affossamento industriale e commerciale del complesso sia per gli interventi e sequestri della magistratura sugli altiforni, sia sul materiale prodotto e immagazzinato.
Renzi, con un Decreto di governo, dissequestra, anche se poi la Cassazione dichiara incostituzionale tale decreto.
Finché si giunge ad affittarlo provvisoriamente all’ArcelorMittal lo scorso anno, in attesa della vendita da perfezionarsi. Società composta per il 94,4% da ArcelorMittal e per il 5,6% dal gruppo di Emma Mercegaglia, poi sfilatosi e sostituito da Intesa Sanpaolo. La quale Mercegaglia, grazie a Renzi, si è nel 2014 insediata alla presidenza dell’Eni; forse per uno scambio … di favori.
Il contratto d’affitto con obbligo di acquisto è stipulato col governo Gentiloni e il ministro Calenda il 28 giugno 2017 e modificato col governo Conte e il ministro Di Maio il 14 settembre 2018.
L’articolo 27 dell’accordo, composto di quattro pagine e sei paragrafi, è dedicato ad ogni possibile declinazione sotto il titolo Retrocessione dei rami d’azienda.
Tra l’altro vi si trova:
Nel caso in cui con sentenza definitiva o con sentenza esecutiva (sebbene non definitiva) non sospesa negli effetti ovvero con decreto del Presidente della Repubblica anch’esso non sospeso negli effetti ovvero con o per effetto di un provvedimento legislativo o amministrativo non derivante da obblighi comunitari, sia disposto l’annullamento integrale del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 29 settembre 2017 adottato ai sensi dell’art. 1, comma 8.1, del D.L. 191/2015, ovvero nel caso in cui ne sia disposto l’annullamento in parte qua tale da rendere impossibile l’esercizio dello stabilimento di Taranto (anche in conseguenza dell’impossibilità, a quel momento di adempiere ad una o più prescrizioni da attuare, ovvero della impossibilità di adempiervi nei nuovi termini come risultanti dall’annullamento in parte qua), l’Affittuario ha diritto di recedere dal contratto.
Perciò, parafrasando i codici e i codicilli, si giunge alla conclusione che, qualora si variasse il piano ambientale, ricalibrando di conseguenza l’attività produttiva e economica e revisionando per forza di cose il punto di pareggio operativo dell’acciaieria, l’ArcelorMittal potrebbe restituire le chiavi.
Conte può fare il principe del Foro quanto vuole; ma, nonostante i suoi proclami, davanti a qualsiasi tribunale perderebbe la causa.

L’inquinamento e le morti, pur non sottovalutando le necessarie migliorie industriali dei vari gestori o proprietari, non sono imputabili solo ai Riva. Il peccato originale è addebitabile allo Stato, che oltre mezzo secolo fa decise di costruire tale impianto in mezzo a una città, producendo e inquinando per decenni con una propria azienda. È ipotizzabile la buona fede; non però la dabbenaggine.
Lo scudo penale, cancellato giorni fa dal Governo, non è perciò la scusa, ma il casus belli che ha causato lo scontro frontale. Perché un’azienda che è subentrata solo da un anno o produce inquinando, oppure ferma gli impianti per una ristrutturazione radicale.
L’impressione, invece, è che il governo Conte bis vorrebbe la botte piena (mantenimento dell’occupazione) e la moglie ubriaca (fermo e ristrutturazione degli impianti).
Il contratto di affitto e di successiva cessione sicuramente doveva essere “salvo intese” su questo punto dirimente.

Lo Stato non è un soggetto comune e con i suoi apparati di potere deve garantire i principi generali, perché l’uguaglianza è un principio generale e inderogabile della legge penale. In pratica non può concedere privilegi a persone fisiche o giuridiche nel nome dell’occupazione. Tuttavia, nel garantire l’uguaglianza penale, dovrebbe in questo caso cominciare a processare sé stesso per aver costruito un impianto che crea e ha creato inquinamento e morte. Perché il compito della magistratura è di applicare la legge e non quello di soprassedere alla legge per opportunismo politico.
Come, sempre in ossequio a quest’uguaglianza, lo Stato non doveva affittare, per poi cedere, a terzi un impianto industriale obsoleto che, per essere reso operante e produttivo, dovrebbe prima essere tutto ristrutturato.

Sam Cardell

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